giovedì 21 novembre 2013

FINALMENTE NATALE! Perché non regalarsi Un uovo strapazzato?

Il Natale rappresentava uno degli incontri “portuali” di maggiore rilievo e nonostante i continui appelli di Teresa che ribadiva il principio irrinunciabile “Dobbiamo volerci bene e aiutarci”, le bordate partivano da tutte le parti.
Anche Santina, la nostra nonna materna, tra un rumoroso risucchio della minestra e un altro, dovuti secondo lei alle dentiere difettose, una volta era stata coinvolta nella disputa. Ma lei non era abituata ai ritmi naturali della famiglia, e andò k.o. quasi subito. Mentre Camilla litigava con mia madre, la nonna osò intervenire. Mia sorella, senza alcun rispetto per la saggezza della terza età, si voltò verso di lei e le disse: “Tu stai zitta, pensa piuttosto a non lasciare quelle schifose dentiere dappertutto, perché un giorno o l’altro le butto nel water (in realtà disse cesso) e tiro la catena”.
Questo provocò l’uscita di scena della nonna, che si alzò da tavola e andò a chiudersi nella sua stanza a piangere.
Io ero particolarmente depresso e rabbioso in quel periodo, sentivo che la relazione con Beatrice stava sciogliendosi come un iceberg al largo della Patagonia, e quindi utilizzavo il Natale per sfogare con la famiglia il mio malumore.
Con un leggero mal di testa di fondo, tra un dolore al fianco destro e un sospetto borbottio intestinale, lanciavo continue provocazioni, sentendomi nello stesso tempo in colpa con i miei genitori.
“Volete spiegarmi perché continuiamo a fare queste pallosissime cene di Natale, dove nessuno ha voglia di partecipare?”.
“Osmio ha ragione” sostenne Camilla, “l’anno prossimo aboliamola, così eviteremo di massacrarci a vicenda  e sarà meglio per tutti”.
E Teresa, quasi in lacrime: “Patti, per favore, vai a chiamare tua nonna. E voi due smettetela di dire queste assurdità. Il Natale è una bellissima festa, è la nascita di Gesù e và rispettata”.
“Si, col piffero…”, ribadii io, “finché eravamo bambini poteva avere un senso, ma ormai è diventato solo un inutile rituale”. E continuai su questo piano senza risparmiare niente e nessuno.
Poi arrivò il momento dei regali. Mia madre, con l’equità che la caratterizzava, regalò un giaccone di montone a Patti, un ombrello (oggetto che non usavo mai) a me, un portacravatte per l’armadio a Mario e una cintura di cotone a Camilla, suscitando un vero vespaio.
Mario la prese con sarcasmo: “Teresa, che meraviglioso regalo! Quanto lo hai pagato questo portacravatte? 500.000 mila lire, come il montone di Patti? E si, sarà costato caro… è doppio, e può contenere ben due file di cravatte!”.
“Guardate che il montone a Patti lo dovevo comprare comunque, ed è solo un caso che glielo dia per Natale” si difese mia madre.
“Si, come no”, intervenne Camilla lanciando la sua cintura nel cestino della carta, “la prossima volta risparmiati i soldi del mio regalo, è meglio!”.
Io nel frattempo avevo aperto l’ombrello e cantavo e ballavo “Singing in the Rain” in salotto, suscitando le preoccupazioni di Teresa e Filippo che erano piuttosto superstiziosi.
“Osmio, smettila e chiudi quell’ombrello! Lo sai che porta male aprirlo in casa”.
Facendo finta di non aver sentito, evitai di rispondere, tanto era tempo perso.

mercoledì 2 ottobre 2013

Cosa succederà a Maria? Suggeritemi qualcosa.

La Baronessa Mollìca  

La tela dell’ape regina



Maria Mollìca non era nata baronessa, il padre era un ingegnere del Comune, e, avendo molto tempo libero, insieme alla moglie e alla figlia avevano coltivato nel corso del tempo diversi “buoni” rapporti per entrare nei salotti nobiliari. Come primo passo però, avevano spostato l’accento del cognome sulla o, e alla fine erano riusciti a far diventare la figlia baronessa dandola in sposa al Barone Codispoti che, ancorché nullatenente, il titolo lo aveva mantenuto.
Bisogna ammettere che il merito dell’operazione era stato in gran parte di Maria, la quale aveva una sua intelligenza particolare in questo campo, mentre in altri non eccelleva troppo. Maria era abbastanza carina ma non era una bellezza, appariva sempre un po’ persa nel suo mondo personale, e spesso sembrava  non fosse in contatto con ciò che le stava intorno. Ma era un’impressione assolutamente errata, Maria vedeva benissimo tutto, ma la maggior parte delle cose che osservava non suscitavano il suo interesse, per cui si manteneva presente ma vagava con la mente tra i suoi sogni.
Tornava alla realtà quando lavorava, o se nei dintorni c’era un uomo che fosse papabile per essere colui che l’avrebbe tolta dal difficile ruolo di zitella senza titoli, e un nobile era sicuramente meglio di un uomo ricco. Maria non aspirava a essere ricca, e si può riconoscere che non era annoverabile tra le donne rapaci, tra le altre cose lavorava stabilmente in uno studio di Ingegneri amici del padre, che visto il suo impegno la consideravano ormai indispensabile e la pagavano bene, ma voleva un titolo con cui poter guardare dall’alto in basso le sue amiche e gli altri in genere che l’avevano sempre considerata la figlia di un impiegato del comune. D’altra parte il Padre, in tempi in cui ciò era ancora possibile farlo, si era costruito una solida posizione economica anche se non tutto ciò che aveva fatto era perfettamente adamantino, ma chi non lo aveva fatto in quei tempi in cui lo stato e le sue istituzioni erano considerati come delle nonne indulgenti sempre disponibili a concedere tutto ai figli e ai nipoti. Maria in presenza del nobile di turno tornava nella realtà e si trasformava, diventava civettuola e sorridente, riusciva a usare il suo corpo e il suo sguardo in modo estremamente seducente, avvicinandosi teneramente e in modo esclusivo al nobile di turno, per poi sottrarsi lievemente con pudicizia. Insomma, il nobile dopo qualche ora di questo va e vieni, non aveva alcun altro desiderio nella vita se non quello di portarsi a letto Maria. Maria non era una conquista facilissima, ma neanche troppo difficile per chi avesse i requisiti richiesti, non era stata a letto con molti uomini in tutto sino ad allora che aveva 27 anni era stata al massimo con 4-5 uomini, subendo in due casi anche un trattamento poco delicato dal nobiluomo sazio che l’aveva mollata subito. Era una falsità ciò che si diceva in giro di lei, cioè che fosse una che andava con tutti, anzi era proprio il contrario.

Altro singolare aspetto di Maria era che in realtà il sesso non le interessava più di tanto, era disinibita ma non si divertiva granché, ma quando lo faceva metteva un notevole impegno nel renderlo trascinante e avvolgente per l’uomo con cui stava, e smetteva soltanto quando il compagno aveva realizzato le sue fantasie e si sentiva soddisfatto e spompato. 

domenica 25 agosto 2013

La zia Maria - (dal prossimo romanzo)!

Pietro questa volta fu tra i primi ad arrivare, dopo aver suonato il campanello Pepi, il volpino di sua zia Maria, cominciò ad abbaiare istericamente. Oltrepassata la soglia della porta gli andò sotto minacciando di azzannare quello che era a portata di dentatura (le scarpe o al massimo l’orlo dei pantaloni), e quando cercava di avvicinarsi per accarezzarlo si spostava di un metro continuando a digrignare i denti. Pepi era il guardiano della casa di Maria, lui faceva esattamente quello che avrebbe fatto la padrona se fosse stata un cane. Maria, invece, lasciato a Pepi il ruolo di digrignare i denti, si comportava sempre più platealmente come se non vedesse più nulla. Nessuno aveva ancora capito cosa vedesse realmente, perché a volte inquadrava particolari che sfuggivano a tutti, altre volte andava incontro a chi entrava e gli toccava la faccia per capire chi avesse di fronte, come se i particolari tattili del viso le permettessero di capire chi fosse in modo più preciso della voce. Maria aveva appena pubblicato a sue spese un libro di poesie, ne prese una copia ci scrisse sopra una dedica e la diede a Pietro. Il titolo era “ Amore per Amore” che non spiccava per fantasia, era ridondante, oltre che completamente fuori luogo. Maria, infatti, dall’alto del suo enorme egoismo, era improbabile che avesse realmente amato qualcosa o qualcuno. Nella prefazione, scritta da una sua amica, c’erano alcune note sull’autrice, in cui si diceva che ciò che la muoveva  erano la malinconia e la follia. Pietro conoscendo la zia Maria aveva pensato che ciò che la aveva spinta nella vita era stata soprattutto la follia, perché la malinconia la faceva venire a chi le stava accanto. Dopo avergli consegnato la copia con dedica personale, gli disse che il volume non lo aveva voluto distribuire, e che aveva comprato lei tutte le copie. Pietro la guardò interrogativo cercando di capire se credesse veramente che lui non sapeva che chiunque può pubblicare qualcosa se paga le spese, come aveva fatto lei. Non c’era nulla di male a pagarsi la pubblicazione di un libro, ma vantarsi di aver deciso di non farlo distribuire era decisamente insostenibile, per quale motivo avrebbe dovuto impedire a un editore di farla diventare ricca e famosa? Comunque Maria, visto che quella pubblicazione era costata, aveva deciso di provare a recuperare qualche spicciolo, e aveva detto a Pietro che se lui o qualche amico voleva regalare delle copie del suo libro potevano comprarle da lei. Certo dopo averlo letto e se gli piaceva! Pietro la guardava esterrefatto,  pensando che sicuramente quel libro sarebbe diventato il suo regalo preferito.
Prima di entrare in casa Lucia aveva passato di nascosto a Pietro e Benedetta una piccola e striminzita piantina di giacinto, che dovevano regalare alla zia Maria. Perché volesse proprio un giacinto con tre rami non si sapeva, ma dopo averlo toccato per capire cosa era, Maria disse che lo desiderava tanto perché le ricordava la sua giovinezza. Per fortuna non lo vedeva, perché il giacinto che Lucia aveva comprato faceva veramente schifo, sembrava un cactus rachitico senza spine e non faceva venire in mente una giovinezza carica di meravigliose prospettive.
Mentre si scambiavano gli immancabili auguri di buon anno e si auguravano ogni bene per l’anno nuovo, Santo continuava a stare attaccato al suo computer portatile dove stava finendo una partita dell’ultimo video gioco che aveva scaricato. Era un giochino intitolato “World combact in the sky”, dove lui con le sue postazioni mobili cercava di abbattere degli aerei futuristici che sganciavano bombe luminescenti, mentre altri Big Gim apparivano da dietro gli angoli e cercavano di farlo secco. Santo era discretamente sordo da alcuni anni, ma rifiutava di utilizzare una protesi perché preferiva non sentire quello che dicevano le persone intorno a lui. A tratti, quando non voleva partecipare per niente, fingeva di essere più sordo di quanto fosse per potersi isolare completamente. Probabilmente era diventato sordo perché era stufo di sentire le continue stupidaggini della moglie e Maria era in parte cieca perché non aveva voglia di vederselo attorno più di tanto. In quel momento Santo era molto assorto e impegnato a sopravvivere, mentre inspirava l’ossigeno dalla bombola portatile che lo accompagnava da alcuni anni.

lunedì 12 agosto 2013

IL BRILLANTE SCOMPARSO. (Un noir familiare. Che ripropongo). Per leggere l'anteprima http://reader.ilmiolibro.kataweb.it/v/904346/Un_uovo_strapazzato#!

Intanto erano cominciati i preparativi per il matrimonio di mio fratello Mario, e io scesi in Sicilia una settimana prima per dare una mano. La nostra casa al mare, dove si sarebbe svolta la festa, venne sistemata e il giardino abbellito. Devo ammettere che era molto carina e c'era una splendida vista.
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I preparativi per il matrimonio procedevano febbrilmente quando accadde un fatto imprevisto.
Cinque giorni prima del matrimonio il brillante destinato a Claudia sparì misteriosamente.
Teresa diceva di averlo avvolto nella carta stagnola, messo in una busta di carta chiusa con lo scotch, e nascosto in una scatola dell'elettricità, cioè in una di quelle scatolette che si trovano murate nelle parte alta delle pareti di casa, che servono ad accedere ai diversi settori dell'impianto elettrico. Questa scatola si trovava all’ingresso del salone, ma quella mattina quando l’aveva aperta, il brillante non c'era più. Teresa diceva di aver trovato la busta vuota con dentro una strana polverina simile a cenere.
Questo evento gettò tutti nello sgomento: Teresa come prima spiegazione aveva ipotizzato che una corrente elettrica anomala avesse colpito il brillante e lo avesse polverizzato!
“Non diciamo fesserie” sostenni io, “i brillanti sono pietre durissime, credo che neanche la scarica di un fulmine riuscirebbe a polverizzarli. Pensiamo, invece, a chi potrebbe averlo rubato, e vista l'entità della cosa mi sembra sia il caso di denunciare il furto”.
La squadra investigativa caoticamente comandata da Teresa aveva passato al setaccio tutte le possibilità. Si era pensato a un ladro proveniente dall’esterno, ma non c’erano state effrazioni di porte o finestre, e questa possibilità era rimasta sospesa e senza prove.
Poi erano state indagate le persone di servizio che avevano accesso alla casa, cioè quelle nostre e quelle dei miei zii che abitavano accanto a noi, perché potevano aver visto Teresa nascondere il brillante nella scatola.
Carmelina, la nostra donna di servizio venne esclusa dopo un acceso dibattito, lavorava da noi da molti anni, era affidabile, e, nonostante tutto quello che Teresa le faceva passare, voleva un gran bene a mia madre. Ma non furono queste le motivazioni principali che portarono alla sua esclusione. Infatti, Carmelina stazzava 106 chili per 1 metro e 52, aveva grossi seni che sembrava potessero sbilanciarla in avanti se non manteneva in asse il baricentro, non era molto agile e non saliva più di due gradini di una scala per il timore di cadere. Poiché, per arrivare alla scatola dell’elettricità e svitarla bisognava salire in cima alla scala dubitavamo fortemente che Carmelina si fosse lanciata in un’impresa così acrobatica.
Toccò poi ai due ragazzi dello Sri Lanka che lavoravano da mia zia da diversi anni. Erano sposati e molto grati a mia zia, che gli dava la possibilità di lavorare e vivere insieme da lei. Lui era venuto ogni tanto da noi a chiedere o portare qualcosa ed era possibile che avesse visto mia madre nascondere il brillante. Qualcuno aveva anche ipotizzato che dal terrazzo della casa dei miei zii potessero aver visto mia madre salire sulla scala. Mia zia gli chiese qualcosa in proposito, ma non ebbe il coraggio di andare oltre: si fidava troppo di loro.
Intanto il fatto venne denunciato ai Carabinieri, che promisero di venire a fare dei rilievi che non fecero mai, asserendo che sicuramente si trattava delle persone di servizio.
Venne preso in considerazione anche Alfio, il giardiniere settantenne che era curvo a 60 gradi e lavorava per mio Padre da almeno trentacinque anni. Ma nessuno riusciva a immaginare quel mite anziano curvo e nodoso nelle vesti di un astuto ladro.
Insomma, con il personale di servizio non si arrivò da nessuna parte, e tornò in ballo l'ipotesi della polverizzazione. Teresa chiamò per telefono il Signor Pulvirenti, il gioielliere di famiglia, gli spiegò l’accaduto e poi gli chiese: “ Secondo lei, è possibile che con una forte corrente elettrica il brillante si sia polverizzato?”
Il Signor Pulvirenti che, oltre a essere un esperto di pietre, era anche un profondo conoscitore delle vita delle famiglie siciliane, dopo una breve pausa chiese a Teresa: “Signora, mi scusi, ma lei questo brillante da quanto tempo ce l’ha?”.
Mia madre, pur perplessa per la domanda, rispose: “Beh, quanto sarà? Quasi trent’anni.”
Con la sottile ironia caratteristica di alcuni siciliani, il Signor Pulvirenti aggiunse: “E allora, Signora Teresa, se per quasi trent’anni non è successo niente, perché si sarebbe dovuto polverizzare proprio adesso che lo doveva dare a sua nuora?”.
Teresa non mise al corrente la squadra investigativa del contenuto della telefonata, ma genericamente spiegò che il Signor Pulvirenti escludeva la teoria della polverizzazione.
Poi vennero considerate ipotesi molto più inquietanti. Si pensò a Patti o a Camilla, ma furono subito scartate: avevano altro per la testa che rubare brillanti, in altri termini non avevano alcun movente. Ipotizzo che in mia assenza sia stato indagato anche io, ma se così fu non ne seppi mai nulla, quindi non vi saprei dire i motivi per cui fui scartato.
Infine, venne sospettato lo stesso Mario, che forse aveva bisogno di soldi per il matrimonio.
“Ma cosa cavolo dite?!” intervenni io stupito, “Ma vi sembra ragionevole che Mario rubi qualcosa che tra qualche giorno sarà sua, e che ha piacere di regalare a sua moglie? Ma siete fuori di testa?” .
Mario era imbufalito, non partecipava ai lavori del team investigativo e per fortuna nessuno gli disse che anche lui era stato per brevissimo tempo un sospetto. In quei giorni parlava poco e guardava torvo Teresa, che peraltro era stata accuratamente esclusa dalla lista degli indagati per evitare che si generasse una crisi familiare irreversibile.
Dopo due giorni di inutili investigazioni, Filippo andò in città e comprò un nuovo brillante per Claudia, che venne montato a tempo di record perché fosse pronto il giorno del matrimonio. Filippo non avrebbe potuto tollerare di non regalare il brillante alla prima nuora, e se ci fosse stato bisogno avrebbe ipotecato la casa per comprarne un altro.

L'episodio venne temporaneamente chiuso per evitare che turbasse l'atmosfera della festa, ma il mistero del brillante, che era riuscito a salvarsi dalle frese che lo avrebbero tagliato in due ma non dalla polverizzazione elettrica, rimase irrisolto, alimentando le già numerose e intricate storie familiari. 

giovedì 1 agosto 2013

LE DONNE E IL SESSO! (Vado in vacanza...a presto)

Dopo la conclusione della relazione con Beatrice, ci vollero almeno sei - otto mesi per recuperare un io sufficientemente solido, e riaffrontare il sesso con altre donne. Consideravo il sesso come una bizzarra attività relazionale, che comportava spesso posture grottesche, e non trovavo una spiegazione valida al fatto che questa attività fisica venisse così sopravvalutata dalle persone. Certo, l’eccitamento e la scarica di questo è piacevole, ma in fondo dura poco e spesso non è neppure così soddisfacente. Riuscire a vivere piacevolmente un rapporto così intimo, soprattutto all’inizio, non è per niente facile. Se non fosse per un insieme di altri aspetti psico-emotivi correlati alla sessualità, direi che non è molto più piacevole che segnare un gol alla squadra avversaria, o catturare un bel pesce durante una battuta di pesca subacquea.
Con Beatrice il sesso aveva una fisicità limitata e non aveva uno spazio proprio: era un’appendice della relazione di coppia e funzionava in stretto rapporto con essa.
Dopo di lei non riuscivo facilmente a immaginare la possibilità che una donna si interessasse a me, e, più in particolare, che fosse fisicamente attratta.
Ma, una volta rotto il ghiaccio, mi ritrovai con due fidanzate in contemporanea. Una era “la minorenne”, nel senso che era decisamente più giovane di me, e la vedevo in genere il pomeriggio, mentre con “la maggiorenne” stavamo insieme ogni tanto la sera.
Non furono dei rapporti “torridi”, anche per il fatto che loro erano più problematiche di me, e i rapporti dei sensi furono fugaci e sporadici. La minorenne viveva il sesso come qualcosa che bisognava scoprire con cautela e attenzione, un po’ come quando si fa l’autopalpazione del seno per vedere se c’è qualcosa di pericoloso.  Mentre la maggiorenne andava benissimo nei preliminari, ma appena andavi oltre, le scappava di andare in bagno, e con questa fuga precipitosa in genere finivano i cosiddetti “rapporti sessuali”.

Poi cominciai a frequentare Doriana, una mia collega di Biologia che amava stuzzicare il genere maschile, ma che nei fatti concedeva molto poco. Aveva bisogno di essere amata, ma, come molti, era spaventata dalle quasi certe delusioni dell’amore. Dopo qualche bacio in macchina, di quelli che durano ore con scontri di incisivi e grandi lavaggi del collo e delle orecchie, una sera, finalmente, accettò di salire a casa mia. Dopo aver abbreviato al minimo accettabile i preliminari, ero passato decisamente alle fasi avanzate. Lei si comportava in maniera veramente singolare: dopo pochi secondi, ansimando un “noo…., noo”, mi sgusciava da sotto e si allontanava di un metro o due strisciando sulla moquette. Io colmavo carponi la distanza e si riprendeva, ma solo per qualche attimo..perchè sgusciava via di nuovo, e si ricominciava. Devo dire che dal punto di vista dell’eccitamento era fantastico, era come riconquistarla ogni volta, mentre dal punto di vista fisico era piuttosto impegnativo per le ginocchia e per le braccia. Nel giro di mezz’ora avevamo percorso strisciando tutto il soggiorno e la stanza da letto. Il bagno lo evitammo perché fummo bloccati dalla porta a soffietto. Alla fine, avendo imboccato il corridoio dell’ingresso che finiva con la porta d’entrata, la cosa si concluse lì, visto che non c’erano altre vie di sguscio. Se la porta fosse stata aperta probabilmente saremmo arrivati in portineria.

mercoledì 31 luglio 2013

LA COPPIA TIENE!!



A cena la discussione continuò e, tra molte risate, arrivammo alla conclusione condivisa che la coppia sostanzialmente teneva, anche se in modo un po’ traballante.
Infatti, a parte quelli il cui matrimonio funzionava ancora bene, tra i nostri amici  c’erano quelli che stavano per separarsi da anni ma erano ancora insieme. Quelli che avevano tentato di separarsi, ma dopo un mese lui era rientrato a casa e aveva rimesso le pantofole, stanco dello stress che gli aveva procurato la vita con una donna più giovane. Quelli che si erano costruiti due gusci per cui, anche se si incrociavano in casa,  non si ferivano più, e quelli le cui traiettorie procedevano parallele senza incrociarsi mai. Insomma il risultato era schiacciante! Ma quale aumento delle separazioni? La maggior parte stava ancora insieme, non c’era dubbio!
Poi, c’erano quelli come me che non si erano ancora sposati, e non riuscivano a trovare qualcuno con cui stare per più di due – tre anni, ma eravamo una minoranza.
Infine, i separati e non più riaccoppiati, che erano con schiacciante prevalenza donne. Costoro sostenevano di avere pochissime possibilità di trovare un uomo più giovane e, tra quelli della loro età, non c’erano più maschi validi disponibili, perché la metà erano sposati o insposabili, e l’altra metà erano gay. Ma questa ipotesi mi è sembrava un po’ semplicistica. Nel nostro mondo sempre più aperto c’erano, per esempio, una marea di Cinesi liberi, perché lì le donne erano in minoranza.


mercoledì 10 luglio 2013

L'amore...sentimento incontenibile e totale. ......basta crederci!!

Quando ero in Sicilia cercavo di incontrare poco Beatrice, accontentandomi di rivederla per litigare un match o due, eppure mi ritrovavo spesso a parlare di lei.
Un pomeriggio ero con Anna, la fidanzata di Claudio (uno dei miei amici storici del gruppo scolastico da noi battezzato “la créme”), e lei mi parlava dei suoi sentimenti per Claudio: “Vedi”, mi diceva, “l’amore è un sentimento incontenibile e incontrollabile, è inutile cercare di spiegarselo, perché non può essere oggetto di discorsi razionali”.
“Hai ragione”, rispondevo, “io mi sento quasi incapace di amare, non credo di aver mai provato qualcosa di simile”. In quel momento tutti i miei limiti mi sembravano angosciosamente chiari.
Lei proseguiva ispirata: “ Io amo Claudio, e questo mi fa  aspirare a vivere insieme a lui… a dividere con lui tutto! Con la più spontanea sincerità”.
Io, abbattuto, le confessavo: “Credo di non avere mai avuto simili spinte verso Beatrice. E’ probabile che io non l’abbia mai amata… ed è ingiusto continuare a stare con lei sapendo questo.” Poi dopo una pausa carica di amarezza, convenivo con me stesso: “Si, è stato tutto molto stupido… ma io sono fatto così, è inutile darmi troppo addosso. Adesso però, devo accettare i miei limiti e lasciarle la possibilità di trovare qualcuno che la ami veramente”.
In fatto di relazioni d’amore ero ancora nella tarda adolescenza. Me ne resi conto il giorno dopo quando, a casa di Carla, trovai Anna che faceva “trik e trak” con Dario. Bisogna però riconoscere: anche in questo caso, con la solita spontanea sincerità.
Non dissi niente a Claudio, ovviamente: ho sempre pensato che fosse inutile e controproducente spingere qualcuno, anche se con argomenti inattaccabili, a vedere ciò che non è pronto ad accettare.

Una cosa, comunque, mi era chiara: i “grandi amori”, quelle esperienze trascinanti e totalizzanti, non durano molto.

giovedì 4 luglio 2013

Separarsi ..... e riunirsi!

In Sicilia i primi giorni con Beatrice erano regolarmente un disastro. Lei sfogava su di me tutta la sua rabbia per punirmi della mia assenza poi, poco prima di partire, sentiva che stava per riperdermi e cambiava completamente.
Quando ci incontravamo il nostro obiettivo era di riuscire finalmente a separarci, ma la sotterranea speranza era che qualcosa tra noi cambiasse per poter continuare a stare insieme.
Questa situazione, che si ripeteva con regolarità svizzera, ci aveva resi ostili e ognuno pretendeva che fosse l’altro a cambiare. Era come se cercassimo di tirare con tutte le nostre forze dalle due estremità un filo d’acciaio, che a breve si sarebbe spezzato, dando una violenta sferzata a entrambi.
In Sicilia, oltre a soffrire con Beatrice, facevo ben poco. La mia identità era come sospesa. Mangiavo, dormivo, fumavo e incontravo parenti. La mia testa diventava sempre più leggera, come se fosse riempita di cotone idrofilo. Sensazione che mia sorella Camilla  riferiva di avere spesso, anche se  per ragioni alquanto diverse, essendo “accannata” praticamente tutto il giorno.
Non so perché l’Isola mi facesse sempre questo effetto. Comunque, avevo imparato a non contrastarlo, tanto non c’era niente da fare. L’unico pensiero confortante era che dopo qualche giorno sarei ripartito e la testa sarebbe tornata come prima.
Ormai la relazione con Beatrice era finita. Lo sapevo, lo dicevo da mesi forse da anni, ma separarsi era veramente complicato. Non per niente gli psicoterapeuti hanno un mercato così fiorente. Infatti, pensando a me stesso sfidanzato, mi si aprivano dei buchi neri spaventosi.
“Riuscirò mai ad avere una relazione con altra donna?” mi domandavo,
“E se per un caso ci riuscissi, e dopo averla conosciuta meglio non mi piacesse più? Mi complicherei la vita per non concludere niente, e si ripresenterebbe il problema di doverla lasciare!”.
Qui interveniva il mio “Io” dotato di rigorosa, ma spesso inutile, ragionevolezza.
“Và bene” diceva al Me stesso, “è possibile che in futuro possa non piacerti più, cosa c’è di strano? Ma potrebbe anche verificarsi il contrario e se non provi non potrai mai saperlo. E poi, l’unico modo in cui ti stai complicando la vita, visto che sei più inerte di una sveglia senza pile, è che temendo sempre di complicartela fai poco o nulla per godertela. Come puoi sostenere che provare interesse per una donna complica la vita? Al contrario, la rende più allegra e stimolante”.
 Ma il Me stesso fragile e distruttivo insisteva: “Sì, ma insieme alle cose piacevoli ci saranno anche quelle spiacevoli”.
E l’Io: “ E allora? Se dovessero prevalere le cose spiacevoli molla tutto ed è fatta. Dov’è il problema?”.
“A te sembra tutto molto semplice, ma cosa racconto alla persona a cui avevo promesso qualcosa, e che mi odierà perché l’abbandono?”.
Ogni promessa è un debito, diceva sempre quella pia donna di mia madre, e anche se usava questo detto per costringerci a fare ciò che voleva lei, il monito generale mi ritornava ossessivamente in mente e mi dicevo: “Non posso fare soffrire gli altri per la mia instabilità”.

“Lascia perdere quella eroina del sacrificio di tua madre, che di promesse rispetta soltanto quelle che convengono a lei!” concludeva l’Io, “Scendi sulla terra! Chi ti credi di essere? Pensi che la felicità o la sofferenza degli altri dipenda da te? E chi sei, Superman!? Falla finita con questa colpevolezza onnipotente e muoviti, tanto è inevitabile che qualcuno non sia contento di ciò che fai!”.

sabato 15 giugno 2013

Vacanze in montagna.

Per leggere l'anteprima


I miei ritmi subivano un brusco cambiamento quando andavo in vacanza. Quell’inverno, dominato dal chiodo persistente della rottura con Beatrice, decisi di andare a sciare con mio fratello Mario e con il mio amico Claudio.
Tutti e tre eravamo accomunati da più o meno gravi “problemi di coppia”: ci sentivamo traditi ed eravamo decisi a lasciare le nostre fidanzate, ma nessuno di noi era riuscito ancora a farlo veramente. Le problematiche della separazione ci univano, ma facevamo finta di non subirne particolari conseguenze e tra noi non ne parlavamo mai, sperando così di dimenticarle e superarle.
Le nostre giornate erano dominate dall’iperattività fisica, con una spiccata ipoattività delle funzioni corticali superiori. Sciavamo sino a quando ci impedivano di continuare a utilizzare gli impianti di risalita.
Tornati al  residence, mangiavamo a orari alpini, quindi dormivamo un paio d’ore, per il rito che Claudio definiva “il riposino del viveur”. Il momento centrale della giornata si svolgeva dalle 22 in poi in discoteca. Lo ski-pass era molto economico paragonato alla spesa delle consumazioni serali: io ingerivo non meno di 5/7 bicchieri di vodka, Claudio e Mario prediligevano il rhum e coca, ma Claudio riusciva a contenerne un massimo di 8/9, mentre mio fratello arrivava a 10/12 e anche più, senza che si rendesse necessario il ricovero.
Io e Claudio invitavamo a ballare il maggior numero possibile di ragazze, in modo corretto ma insopportabile, con l’intento di essere respinti. Al termine della serata conteggiavamo e risultava vincitore chi era stato respinto più volte. Era il nostro modo di vaccinarci e prepararci alle delusioni con le ragazze, o forse eravamo così mal ridotti dalle nostre precedenti esperienze, che non potevamo permetterci nulla di diverso dalla conferma delle nostre incapacità. In ogni caso, era un modo per trasformare una disgrazia in un colpo di fortuna.
Mario era diverso. Corteggiava una maestra di sci bionda e molto carina che aveva dieci anni più di lui, cercando di sedurla con i suoi modi divertenti e infantili, cosa che ovviamente non avrebbe potuto condurlo a nulla.
Dopo 2 giorni conosceva tutti in paese e guidava il nostro gruppo assumendo il ruolo di fratello maggiore. La notte ci riportava a casa e, se necessario, ci assisteva nei frequenti episodi di intolleranza gastrica post-alcolica. Seduto sul letto, continuando a parlare senza sosta, teneva la fronte a me che, steso a pancia in giù con la testa che sporgeva fuori, vomitavo in un secchio, controllava Claudio, steso nella stessa posizione, a cui per vomitare aveva attaccato un sacchetto di plastica del supermercato dietro le orecchie, che gli pendeva davanti come il sacco della biada ai cavalli, nel frattempo mangiava con appetito un piatto di spaghetti che si era cucinato durante i nauseanti preliminari.
Io dormivo con lui in un letto matrimoniale, mentre Claudio aveva un letto a una piazza e mezzo in un’altra stanza.
Mario era molto ospitale. Una sera rientrò più tardi, mentre io e Claudio dormivamo già, portando con sé due ragazze della riviera di ponente bisognose di un ricovero per la notte.
Verso le quattro di notte, svegliandomi assetato, mi ritrovai nel letto una sconosciuta che dormiva tra me e Mario.
Con gentilezza la svegliai e le dissi: “Scusami ma io non so chi sei, e non riesco assolutamente a dormire accanto a una persona che non conosco. Puoi metterti dall’altro lato di mio fratello per favore?”.
Credo che si offese per non essere stata accettata, ma si spostò ugualmente.
L’altra ragazza si sistemò nel letto con Claudio, troppo ubriaco per rendersi conto di quello che accadeva. Solo al mattino si accorse di aver passato la notte con una tizia bassina in camicia e pantaloncini, con i capelli neri e abbondanti peli, ugualmente neri, sulle gambe.
Durante la colazione Claudio mi confidò: “Mi era sembrato che qualcuno si strofinasse a me stanotte….ma credevo fosse un sogno. Pensa che figura di merda ho fatto: nel sogno ho avuto un’erezione!”.
La mattina, alle nove al massimo, eravamo sulle piste barcollanti e intontiti, ma Claudio sosteneva che le prime discese sarebbero state fantastiche, infatti, eravamo nelle condizioni ideali per fare le migliori curve della giornata, perché in quello stato venivano decisamente più rotonde.

sabato 1 giugno 2013

Ballo di famiglia......intorno alla MADRE!!


Per leggere anteprima
http://reader.ilmiolibro.kataweb.it/v/904346/Un_uovo_strapazzato#

A parte qualche giorno in cui Patti andò a trovarla, Teresa (la madre) rimase da sola, cioè senza noi figli. In effetti non era per niente sola, lì al mare c’erano tutti gli amici di sempre. Aveva 75 anni ma era fisicamente a posto, avendo la solidità della Nonna Santina.
A settembre, però, decise che i suoi vuoti di memoria e le sue disattenzioni erano troppo gravi. Quell’estate era stata segnata dalla continua litania: “Non so cosa mi succede!...Non mi ricordo più niente!” I suoi amici la sopportavano benevolmente e, considerato come vinceva, giocando a carte con il solito accanimento, non erano particolarmente preoccupati. Ma Teresa era certa che fosse necessario fare dei controlli approfonditi, pensando che potesse essere un principio di Alzheimer.
Decise di andare con la zia Lucia in una casa di cura specialistica per la diagnosi e il trattamento della demenza per una settimana. Non so come fecero a farsi ricoverare in una struttura specialistica di quel tipo, perché, per essere ricoverata, qualche disturbo dovevi pur averlo. Non è che sappia molto sull’Alzheimer, ma se mia madre, che ragionava benissimo, lo aveva, allora metà della popolazione mondiale era a grave rischio. Comunque, visto che ognuno è libero di scegliere se andare una settimana in un centro benessere, oppure in un istituto per la diagnosi e la cura per la demenza, non dissi nulla e le diedi la mia benedizione.
Due giorni prima di partire Teresa mi chiamò per salutarmi e mi disse:
“Osmio ti chiamo oggi perché dopodomani mi ricovero, e domani sera andrò a letto presto. Sai, devo partire alle 5 e mezza…”.
“Perché dovete partire così presto? Con la macchina è soltanto un’ora di strada”.
E lei sorpresa: “Ma Osmio! Non andiamo in macchina! Dobbiamo prendere l’autobus!”
“Certo, hai ragione.”, riflettei, “ Che stupido che sono certe volte! Lo capisco che sarebbe piuttosto strano se due dementi arrivassero in un centro per la cura dell’Alzheimer in macchina da sole!”
“Si! Prendimi anche in giro! Guarda che io non sto bene e sono molto preoccupata, se no non mi sarei certo ricoverata. Ma voi (intendeva noi figli) di me non vi preoccupate, e io devo fare tutto da sola, dopo avervi dato tutto!”.
Ormai ero grande e non riuscivo più ad arrabbiarmi. Risposi pacato:
“Senti, fatti curare da chi vuoi e per quello che vuoi, per me fa lo stesso. Però, non capisco… cosa vuol dire che ci hai dato tutto?”
“Tutto significa, tutto quello che possedevo”.
“Teresa, hai ancora tutto tu! Non ci hai dato proprio niente, sei usufruttuaria di tutti i beni che ti sono rimasti. L’unica cosa che, per fortuna, non puoi più fare è venderli, così non corriamo il rischio di doverti anche mantenere un giorno”.
“Si, è come dici tu.” concluse Teresa, “Voi volete avere sempre ragione. E’ facile con una donna anziana e stanca...”.
Un pomeriggio, cinque giorni dopo che si era ricoverata, mi arrivò una telefonata.
“Buonasera”, disse una voce decisa, “sono la Dottoressa Trifolini e sto seguendo sua madre Teresa qui al Centro.  E’ lei che mi ha dato il suo numero.”
“Molto piacere”, risposi, cercando senza successo di immaginare cosa potesse volere, “In cosa posso esserle utile?” .
“Volevo metterla al corrente della situazione di sua madre. Abbiamo fatto tutti i controlli del caso: TAC, Risonanza Cerebrale, Doppler dei Vasi Carotidei, analisi cliniche, Test….e sono risultati tutti nella norma. Quindi, possiamo escludere che sua madre abbia al momento una demenza senile. Anzi, per la sua età sul piano cognitivo và meglio della media.”
Io, trattenendomi a stento dal ridere, le dissi: “Ah..bene! Le notizie che mi dà sono molto confortanti. In effetti eravamo un po’ preoccupati, ma la mamma è una persona molto solida.”
Pensavo che la comunicazione finisse lì, invece la Dottoressa aveva appena iniziato: “Si, sul piano fisico sta bene. Ma ho parlato a lungo con sua madre e credo che i suoi problemi siano legati a uno stato di forte ansia e depressione”.
“Ah! Uhm! Ok!... E cosa si può fare?”
“Guardi, sua madre è in questa condizione per diversi motivi. Anzitutto, è molto angosciata per sua sorella Patti, che si è separata ed è rimasta da sola. Sua madre è preoccupata per il suo futuro.” 
E io, dopo aver tossito per coprire un inizio di risata:  “Certo, capisco, ma le assicuro che Patti non se la cava così male..” .
“Poi non è riuscita a superare il distacco da sua sorella Camilla, che è andata a vivere all’estero, non si è sposata e non ha figli…Ma, soprattutto, è addolorata per il fatto che suo fratello Mario la tratta male, non si fida di lei, e le fa vedere raramente i bambini.” 
E ha ragione, pensavo io, se non facesse così si ritroverebbe Teresa in mezzo ai piedi tutti i giorni.
“Mi scusi, non voglio criticare suo fratello… ma questo è quello che vive sua madre, e che la fa soffrire.”
Ero senza parole, e nello stesso tempo sbalordito dall’abilità di Teresa nel manipolare anche gli esperti del campo, che avrebbero dovuto capire con chi avevano a che fare.
“So che lei vive fuori”, continuò la dottoressa,  “ma sua madre mi ha detto di rivolgermi a lei, perché pensa che potrebbe parlare con i suoi fratelli”.
Non sapevo cosa dire :  “Si, certo, capisco. Ma con chi e di cosa dovrei parlare?”, risposi apparentemente comprensivo, mentre cercavo di immaginare cosa avesse escogitato Teresa.
“Guardi, intanto abbiamo dato a sua madre una cura farmacologica che potrebbe aiutarla a stare meglio. Ma io sono specialista in Terapia Familiare e penso che, se non si sciolgono questi nodi, il problema si ripresenterà.”
Ripresenterà? Pensavo io: ma se è almeno cinquant’anni che si ripresenta e che ci conviviamo! “Mi scusi dottoressa, come lei ha detto, io vivo a Roma e quindi, anche se capisco, mi riuscirebbe molto difficile partecipare a una eventuale terapia di questo tipo. In che modo pensa che potrei esserle utile?” .
“Potrebbe parlare con sua sorella e con suo fratello, per spiegare la situazione e chiedere se sono disponibili per una terapia familiare, che potrebbe aiutare sua madre!”.
Ero strabiliato. Ma chi era questa dottoressa Trifolini? Una capra in camice bianco?
“Beh”, dissi, “la ringrazio per le informazioni, e vediamo cosa posso fare.”
Trascorsero diversi minuti prima che riuscissi a riprendermi. Altro che Alzheimer! Il cervello di mia madre funzionava benissimo: era anche riuscita a convincere la dottoressa a chiamare ancora una volta a raccolta i figli attorno a lei. Certo, il nobile fine era di tenere unita la famiglia, perché il rischio che qualcuno si allontanasse c’era sempre, quello meno nobile era il suo egocentrismo.
Chiamai subito Patti. “Mi ha chiamato una simpatica dottoressa del Centro dove è ricoverata Teresa, mi ha detto che tutti i controlli sono a posto e non ha l’Alzheimer!”.
“E quale è la notizia? Quella l’Alzheimer ce lo fa venire a noi!”.
“No aspetta…”, dissi io trattenendo le risate, “la notizia non è questa. Hanno capito che è un po’ depressa  perché è molto preoccupata per noi figli, e vorrebbero iniziare una terapia familiare con tutti i membri della famiglia disponibili, in pratica con te e con Mario. Che te ne pare?”.
A quel punto scoppiai a ridere.
“Quella è fuori di testa!”, disse seccata Patti. “Ma che, abbiamo tempo da perdere? Lei ha 75 anni, noi quasi 50, e che facciamo? Ci mettiamo a fare la psicoanalisi come se fossimo adolescenti? Non se ne parla neppure. Ora la chiamo e gliene dico quattro.”
“Lascia perdere la chiamo io. A Mario non telefono neppure, se no mi suona l’inno d’Italia a pernacchie, e poi mi sbatte il telefono in faccia”.
“Non lo chiamare, è meglio. Invece ricordati di mandarmi le ultime foto di Zoe. E pensiamo al futuro.”
Chiamai Teresa. Il tutto era decisamente divertente.
“Ciao Mamma come stai?”
“Mah, un po’ giù. Ti ha chiamato la dottoressa Trogolini o Trigliolini? Non mi ricordo mai come si chiama, ormai la memoria non mi assiste più.”
“Si, ho parlato con la dottoressa Trifolini. Mi ha detto che non sei demente, cosa su cui non avevo molti dubbi. Ma che cosa le hai raccontato? Come hai fatto a infinocchiarla sino al punto da farle proporre una psicoterapia familiare?”.
“Osmio, guarda che io le ho soltanto detto che ero preoccupata per voi, perché ancora non vi vedo sistemati e questo non mi fa stare tranquilla. Ho 75 anni e, almeno adesso, vorrei un po’ di tranquillità.” sospirò Teresa.
“Un po’ di tranquillità la dovresti dare a noi! E cosa  vuoi dire con sistemati? Nessuno è mai definitivamente sistemato, ma non mi sembra che la situazione necessiti di una psicoterapia familiare!”
“L’idea della pissicoterapia familiare è della dottoressa Trigolini, o come si chiama, non mia. Io sono solo preoccupata.”
“Comunque, tua o della dottoressa, scordatela! Non credo… anzi sono sicuro che Patti, e meno che mai Mario, parteciperebbero. Prenditi una manciata di pasticche, e stattene tranquilla. Mi raccomando, diglielo alla dottoressa.”
E lei, un po’ offesa: “Va bene, và bene, lasciamo perdere la pissicoterapia. Ma certo che voi, a vostra madre non la volete aiutare!”
“Mamma, si dice psicoterapia, e se tu la vuoi fare va benissimo, ma da sola, non con noi. E non ricominciare con la solita solfa dei figli ingrati. Ci sentiamo nei prossimi giorni.” e chiusi la telefonata.


domenica 26 maggio 2013

Stasera soltanto un po di bassa pubblicità!

“Un uovo strapazzato” di Nello Brogna

Un romanzo ironico e divertente che si degusta facilmente, e dopo averlo finito vorreste assaporarne ancora. Negli intrugli dei complicati rapporti di un uomo con la famiglia, con le donne della sua vita…..non soltanto le fidanzate, ma anche la madre, le sorelle, le zie, le amiche……e soprattutto con se stesso, alla ricerca di un equilibrio “maturo”!!



martedì 21 maggio 2013

La grande e saggia Nonna. Più grande della buoganvillea che è dietro di lei!!


LA NONNA SANTINA

In quel periodo anche la nonna Santina viveva dalla zia Rosa. In genere era mia madre a tenerla a bada, ma negli ultimi tempi si davano un po’ il cambio. La nonna era sull’orlo degli ottanta anni, e il declino dell’efficienza dei suoi neuroni cominciava a manifestarsi con prepotenza, in contrasto con il fisico che reggeva ancora benissimo.
Mio padre, che doveva accettare la sua presenza in casa, la osservava terrorizzato mangiare con la voracità di un gorilla di montagna.
“Con l’appetito che ha, vivrà ancora almeno vent’anni!”, diceva con un tono di rassegnata disperazione, “Dovreste vedere come supera tutte le malattie!”.
Ormai la nonna aveva molte difficoltà a ricordare ciò che era accaduto nei momenti precedenti, e il suo presente le si riproponeva immutato molte volte.
In altre parole ripeteva sempre le stesse cose.
In genere erano domande cariche di preoccupazione, che non si esaurivano nonostante le reiterate risposte dei miei familiari, che non si rassegnavano ad accettare il fatto che dopo trenta secondi si ritrovavano al punto di partenza. Era una specie di incubo, un po’ come sparare a “Terminator 2” che, dopo pochi secondi, si riaggiustava da solo.
La domanda che batteva tutti i record di ascolto coatto era:
“Ma Rosa dov’è? È uscita?”.
Questa domanda veniva posta a tutti indistintamente, sia che la zia Rosa fosse presente, sia che non lo fosse. Qualche volta, in preda al terrore, la rivolgeva alla zia Rosa stessa.
Un altro aspetto particolare era la scomparsa dal suo panorama di quasi tutti i concetti più astratti, mentre si espandevano quelli più concreti.
Una sera, a una cena in suo onore in cui eravamo invitati quasi tutti noi nipoti, lei ci accolse con una certa perplessità poi, riconoscendoci, cominciò:
“Ahh, Osmio”, e baciandomi, “Piii… ma che? Sei diventato più alto?”.
Poi, guardandomi meglio: “Mah, sembri più magro!”.
Quindi si girò verso Patti: “Ma ti sei dimagrita?…Sembri così bassina!”.
E a Paola, una delle figlie della zia Rosa, che entrava con il fratello Silvio:
“Ma tu sei Paola!…Ma sei ingrassata?….Però sembri più alta!”.
Alto/basso e magro/grasso erano i suoi concetti chiave, e li utilizzava in tutte le possibili varianti, in frasi affermative, dubitative o francamente interrogative. Quella sera era particolarmente di buon umore e, tranne rare eccezioni, ci vedeva tutti più alti.
In quel periodo di vacanza a Roma, la zia Rosa era riuscita a farle fare una serie di cose, che in altri tempi la nonna avrebbe definito ridicole. Le preparava un gin-tonic come aperitivo prima della cena, facevano la doccia insieme, la portava alle sue sedute di Shiatzu e agli incontri dell’Istituto Giapponese di Cultura. Mia nonna stava bene dovunque, distribuendo alti, bassi, magri e grassi a tutti, e chiedendo a intervalli cadenzati:
“Ma Rosa dov’è?”.
Se la zia doveva uscire, la lasciava con una sua vecchia domestica. Mia nonna non la sopportava e, quando Rosa tornava, tra la rabbia e le lacrime, si lamentava: “Ma ti sembra giusto lasciare una donna vecchia e malata (a parte il depauperamento neuronale era sanissima) a casa da sola? E chi è questa estranea che mi guarda sempre e mi fa venire il mal di testa?”. Poi accusava la domestica di darle le medicine sbagliate, di farla cadere apposta e di tramare le cose peggiori ai suoi danni.
In una di queste occasioni, la nonna decise di uscire da casa e, trovando la porta sbarrata, cominciò a urlare e minacciare. La domestica, temendo che fuori si sarebbe persa, ovviamente si rifiutò di aprirle. Santina non si perse d’animo, prese il telefono, compose il 113 e con decisione denunciò:
“Sono la signora Santina. Ho 62 anni, venite a liberarmi… mi tengono sequestrata!”.
Purtroppo non ricordava né dove abitava, né il numero di telefono della zia Rosa, quindi la polizia non poté intervenire per liberarla.

Per leggere anteprima
Se volete compratelo sul sito ilmiolibro.it
E’ divertente!




lunedì 13 maggio 2013

L'amore è cieco! Ma non ci si innamora per caso!!



Dal mio libro, se ti piace leggi l'anteprima......  questo è il link:

Rientrato a Roma rividi Federica. Ero più innamorato di prima, nonostante continuasse a raccontarmi di Maurizio, di Michele, di Carlo e di tutti gli altri ex o attuali spasimanti, che, a suo dire, continuavano a corteggiarla, nonostante lei fosse assolutamente chiara e cristallina con tutti.
Mi infastidiva saperla cercata, desiderata e forse anche amata da altri, ma lei mi rassicurava dicendo che tutto questo non modificava quello che provava per me. Io ero sicuro che un giorno lei sarebbe cambiata e la giustificavo. Cosa poteva fare? Troncare bruscamente quei rapporti di amicizia, soltanto perché io ero geloso? Essere maleducata? Sparire colpevolmente come fanno molte persone quando si fidanzano?
Pensavo che per lei fosse difficile chiudere con tutti in quel momento, senza essere completamente sicura di me, perché ancora le servivano per sostenere la sua autostima.
Io ero innamorato, e aspettavo fiducioso l'evolversi del nostro rapporto.
Quando oggi ripenso a quel periodo mi domando come sia possibile rimanere imbecilli e acritici per un tempo così lungo e, anche se allora ero sicuro della fedeltà di Federica, oggi non escludo affatto di aver avuto, come si dice in Sicilia, “più corna di un cesto di vaccaredde” (che sarebbero le lumache, che hanno un paio di corna ciascuna e in un cesto ce ne entrano centinaia).
Per definizione l’amore è cieco. Quindi, all’inizio, non vedevo o non davo importanza a queste cose e non soffrivo più di tanto. Credevo che, restando al suo fianco, avrebbe capito che ero unico e tutto si sarebbe sistemato.
Il mio amore era come un lucido delirio inattaccabile alla critica, carico di fantasie di bene e felicità. A posteriori, la cosa più sorprendente era come in questa condizione avevo accettato o rivisto posizioni che sino ad allora avevo ridicolizzato, o comunque mai condiviso. Anche un doppio salto mortale mi sembrava un andamento lineare tra me e il mio passato.
Sicuramente avevo fatto molti progressi, ma la stabilità della mia identità doveva ancora essere piuttosto precaria, pur essendo, allora, convinto del contrario.
Già dopo pochi mesi io e Federica avevamo deciso di sposarci l’autunno successivo, se lei fosse riuscita a ottenere il trasferimento a Roma. Per il momento non avevo informato la mia famiglia del nostro progetto; era inutile lanciare una bomba che forse non sarebbe neanche esplosa.
A me non sembrava affatto di aver preso una decisione avventata, anche se la conoscevo da poco. Ero convinto che entrati nell’età adulta non fosse necessario molto tempo per capire chi avevi di fronte e cosa volevi insieme a lei.
Insomma le mie esigenze sostenevano la mia scelta, mentre le mie emozioni erano fuori gioco. Quello che decidevo doveva soltanto essere ragionevole e, in effetti, sembrava esserlo.
Anche se Antonio ogni tanto mi fissava per un po’ e poi mi domandava:
“Ma sei proprio sicuro di volerla sposare? Certo è carina, brillante, intraprendente, ma non so….sono perplesso sul fatto che sia adatta a te”.
“No, Antonio”, dicevo io senza incertezze, “forse per la prima volta nella vita sono convinto di una cosa  e non perderò l’occasione di farla”.
Ero come un treno senza freni lanciato a tutta velocità: non vedevo ostacoli, stazioni, né la fine dei binari.
Bisognerebbe essere più cauti quando una cosa ti capita per la prima volta nella vita. Ma ero stato talmente cauto sino ad allora, avevo evitato tanti rischi e non volevo più essere così. Se avessi perseverato nell’indecisione, come in passato, non mi sarei sposato neanche a cinquant’anni.
Inoltre, avevo finalmente raggiunto una solida convinzione e, come la maggior parte delle persone, difficilmente l’avrei abbandonata, a meno che non fosse diventata assolutamente insostenibile. Noi uomini spesso siamo dei pessimi scienziati e non accettiamo di prendere in considerazione ciò che non conferma le nostre teorie, così perdiamo molto tempo in imprese assurde o disperate, piuttosto che dedicarlo a sviluppare qualcosa di migliore.

Se vuoi comprarlo nel blog ci sono tutte e indicazioni:


mercoledì 8 maggio 2013

Gli anni del profilattico! Con un po di leggerezza..


Quelli furono anche gli anni del profilattico.
Questo oggetto, che fino ad allora avevo utilizzato qualche volta con gli amici soltanto per gioco, era diventato necessario e a volte indispensabile. Devo dire che quell’untuoso prodotto mi ha sempre generato bizzarre sensazioni, e ogni volta che ne mettevo uno mi veniva regolarmente da ridere. Non so spiegare perché, l’unica cosa che mi viene da dire è che lo trovo “buffo”.
All’inizio era stato difficile decidere quale usare. Il primo problema da risolvere era se fosse meglio con o senza il serbatoio. Il concetto di serbatoio era altrettanto ridicolo: quale quantità di liquido avrebbe dovuto contenere questo benedetto serbatoio? Comunque optai per il serbatoio, e avevo ragione, perché quelli senza serbatoio dopo un po’ vennero tolti dal commercio.
Il secondo problema era scegliere il tipo tra una gamma piuttosto ampia, quindi, decisi di comprarne una scatola da 6 di tutti quelli che mi interessava provare. Nello stesso giorno feci il giro di svariate farmacie, tutte lontane da casa, e in ognuna presi una confezione diversa. Farlo nello stesso giorno mi rese il compito più agevole, infatti, non fu facile trovare il coraggio di comprarli, in particolare se la farmacista era una donna, ma ripetendo l’operazione più volte in poco tempo, alla quarta o quinta scatola mi sentivo molto meno imbarazzato.
Ovviamente non compravo tutti quei profilattici perché avessi chissà quale vita sessuale, ma soltanto per avere una scelta nel caso fosse capitato.
Alla fine ne avevo di tutti i generi, prevalentemente erano del tipo sottile, nelle varianti supersensibile, supersottile, contatto, nudo, invisibile e addirittura “NULLA”. La fantasia dei produttori per distinguersi tra loro non aveva limiti. Poi c’erano quelli anatomici, che avrebbero dovuto stare a pennello; quelli ritardanti, quelli stimolanti, quelli ritardanti per lui e stimolanti per lei. Avevo evitato di comprare quelli stimolanti per lui e ritardanti per lei, perché pensavo che nel mio caso non fossero utili. A pensarci bene, però, una volta, durante il primo viaggio con mio fratello Mario, ero stato con una ragazza dell’Europa del Nord che arrivava alla fine, rispetto a me, con una proporzione di cinque o sei volte a una. Ma pensavo che fosse altamente improbabile che tale situazione si ripetesse.
Ne avevo anche una serie esterofila (in Italia sono sempre molto richiesti i prodotti con nomi inglesi) si chiamavano: endurance, extra pleasure, long distance, intense…tutti nomi che promettevano sensazioni speciali.
Allora non erano ancora in commercio né quelli colorati verdi, gialli o viola che Julia Roberts offriva a Richard Gere in Pretty Woman, né quelli saporiti al gusto di limone, mora, lampone, gianduia e nocciola, stracciatella o frutto della passione. Ammetto che, anche se fossero stati in vendita, non li avrei comprati comunque: già mi veniva da ridere con quelli normali color plastica, figurarsi se me lo vedevo verde o viola!  Per quanto riguarda quelli saporiti…già sopporto poco di avere addosso profumi, perché preferisco avere il mio personale odore. Al pensiero di avere un sapore diverso, mi sarei sentito completamente a disagio.
Alla resa dei conti non è che ne abbia usati molti. In ogni caso non ho mai capito le differenze tra loro. Infatti capitava che l’anatomico faceva le pieghine, che andavo veloce con il ritardante e lento con il nudo.. insomma, era ogni volta un po’ diverso. Credo che per riuscire a discriminarli con precisione sia necessario usarli almeno 100 volte ciascuno, oppure leggere un saggio sull’argomento scritto da un pornodivo, che al momento non mi sembra sia stato ancora pubblicato.
Altro problema correlato al suo uso, era per me il momento di toglierlo. Regolarmente, ogni volta che con cautela tiravo fuori il coso impermeabilizzato, ero convinto che il profilattico si fosse rotto. Per fortuna la tecnologia produce gomme piuttosto resistenti e anche se la paura della rottura non l’ho mai superata, non mi è mai capitato che se ne rompesse uno.
L’ultimo problema da risolvere era lo smaltimento. Dove buttarlo alla fine? Spesso mi riducevo a portarlo fuori in tasca. Per evitare spargimenti lo stiravo e gli facevo un nodo in mezzo poi,  guardandomi attorno come un ladro, lo gettavo nei rifiuti quando ero sicuro che nessuno mi vedesse, quasi dovessi vergognarmi della deplorevole attività per cui era stato usato. 

Leggete l'anteprima e compratelo, se vi interessa.


lunedì 6 maggio 2013

Lo scoppio di un polmone!


Improvvisamente, mentre studiavo con Luigi, un dolore acutissimo al torace mi tolse il fiato sino a farmi provare l’impressione di poter morire dopo pochi minuti. Con un esame radiologico venne accertato che si trattava semplicemente di un pneumotorace spontaneo, cioè di un buchino nel polmone attraverso cui entrava un po’ d’aria nella cavità pleurica che normalmente è sottovuoto.
Luigi, che aveva più o meno intuito la gravità del caso, rimase a farmi compagnia. Telefonò a sua madre e le disse: “No mamma, non torno a casa per pranzo, resto qui da Osmio che sta male.” E la madre: “Oh come mi dispiace, ma gli è successo qualcosa di grave?”,
“Non ho capito esattamente”,  rispose Luigi, “ma sembra gli sia scoppiato un polmone”.
Lo scoppio del polmone di destra aveva comportato lunghi e dolorosi strascichi, e durante il successivo ricovero, bloccato a letto con un tubo che dal torace arrivava in un boccione trasparente che ogni tanto gorgogliava in modo vergognoso, avevo temuto più volte di avere il tetano o di cadere da un momento all’altro in preda a una crisi epilettica.
La cosa più tragica, però, era stata la costante presenza di mia madre Teresa che, approfittando della mia condizione di debolezza, come una ambigua crocerossina restava incollata al mio capezzale, preoccupandosi della mia salute e inondandomi del suo opprimente affetto, senza che potessi fare alcunché per sottrarmi.
“Dottore” diceva pressante mia madre al medico che mi aveva operato, “come sta mio figlio stamattina? Lo vedo un po’ pallido! Gli ha misurato la pressione venosa?”.
Il Dottore la guardava irritato, ma le rispondeva con pazienza: “Stia tranquilla Signora, sta bene. Per quanto riguarda la pressione arteriosa, che è quella che normalmente misuriamo,” disse puntualizzando, “suo figlio è giovane e non ha problemi di questo tipo”.
Ma Teresa non mollava: “Bene, grazie a Dio. Però Dottore, glielo dica lei di non alzarsi e di farsi aiutare quando va in bagno, non credo che possa fare sforzi dopo questa operazione!”
“Ma che operazione!”, sbottavo io imbestialito, “E’ solo un tubo di drenaggio! Posso benissimo  andare al cesso da solo! ”.
E il Dottore, sempre paziente: “Signora, suo figlio si può sforzare quanto vuole, anzi più si sforza e respira profondo, più rapidamente elimina l’aria che c’è nella cavità pleurica, così il polmone torna a parete e possiamo levargli il drenaggio”. 
“Va bene” aggiungeva mia madre, per nulla rassegnata, “ma la notte rimango io a dormire con lui, così se ha bisogno gli do una mano”.
Allora cercavo la complicità del medico: “Dottore, ma è proprio necessario che rimanga qualcuno a dormire con me?”
“No, non è indispensabile. Se ha bisogno, basta che suoni il campanello e verrà l’infermiera. Poi decida lei se vuole compagnia.”
“Se è per la compagnia….preferisco che resti la mia fidanzata!” proponevo provocatoriamente, sapendo che Teresa non avrebbe mai acconsentito.
Infatti si stizzì: “Osmio, ma che dici! Beatrice deve tornare a casa sua, non può restare a dormire qui!”.
“Allora preferisco stare da solo”. 

Questa è il link dell'anteprima del libro, se vi incuriosisce compratelo:


mercoledì 1 maggio 2013

Lasciamo perdere le donne per un attimo. Ma perché finisci in ospedale? (Un posto speciale da evitare).


Nella vita reale, continuavo a non stare fisicamente tanto bene e, tra un doloretto e l’altro, mi ritrovai a dovermi operare per un “piccolo” problema.
Ovviamente l’intervento era “piccolo” per i chirurghi quando parlavano con i pazienti; era invece “complesso”, perché spesso il problema recidivava, quando parlavano con i colleghi. Per me era semplicemente terrorizzante. Dicevano che tutto era imputabile ai residui filogenetici della coda, che negli esseri umani era con il tempo scomparsa, ma a me purtroppo non completamente.
Ero angosciato dal fatto che sarei stato sottoposto a una anestesia generale. L’idea di quella necessaria sospensione della coscienza, di cosa sarebbe successo al mio io in quel periodo buio e se alla fine sarei riuscito a risvegliarmi e ritrovarmi, mi lasciava senza parole.
Nei giorni precedenti, la mia mente fu occupata in elevate speculazioni filosofiche, su temi come: la morte, l’amore, il piacere, la libera scelta.
Ritornato cosciente dopo l’intervento, che era andato bene, abbandonai le astrazioni, divenni molto più concreto e pensavo arrabbiato:
“Ho il culo rotto! Sono ricoverato da tre giorni e non sopporto più questo posto. Ho anche un po’ di febbre, e temo che questo prolungherà la mia permanenza qui”.
L’unica nota divertente erano le telefonate di mio fratello Mario che a voce altissima diceva: “Ahuugg…, come sta il grande capo culo scucito? Cosa ha detto lo stregone bianco, che riuscirai a cagare come prima? O forse avendo due buchi sarà ancora più semplice?… E quando ti rimandano nella tua tenda?”.
Ridevo, ma mi tiravano i punti e temevo che mi si sarebbero scuciti sul serio.
L’ospedale è un posto tremendo, a meno che tu non stia veramente male.
Penso che le persone  che ci lavorano o che ci soggiornano esprimano in questo posto alcuni aspetti estremi e spesso negativi di se stessi. Questo vale sia per i medici, sia per gli infermieri, sia per i pazienti: tutti manifestano in modo amplificato alcuni tratti del loro carattere. Non so….forse dipende dal fatto che manca o è molto sacrificata la dimensione privata.
C’è chi esercita il proprio potere sugli altri, e non è detto che lo faccia più il medico che non il paziente o l’infermiere, chi sessualizza il rapporto terapeutico, chi pratica l’intolleranza nei rapporti umani. Ci sono quelli che estremizzano le paure del contagio, e quelli che amano contagiare. Ci sono quelli che ti devono aiutare anche se non vuoi essere aiutato, e quelli che  non si fanno aiutare anche se ne hanno un estremo bisogno. Ci  sono quelli che diventano troppo bambini, quelli troppo adulti, e i vecchi saggi. C’è chi si culla con l’idea della morte, e chi vuole evitare di esserne sfiorato. Questi temi sono comuni a tutti, indipendentemente dai loro ruoli. I medici, gli infermieri e i pazienti sono, all’interno dell’ospedale, sia i persecutori che le vittime.
Da questo mondo “speciale” ne esci solo quando sei dimesso, o quando con grande sollievo timbri il cartellino per tornare a vivere normalmente.