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A parte qualche giorno in cui Patti andò a
trovarla, Teresa (la madre) rimase da sola, cioè senza noi figli. In effetti non era per
niente sola, lì al mare c’erano tutti gli amici di sempre. Aveva 75 anni ma era
fisicamente a posto, avendo la solidità della Nonna Santina.
A settembre, però, decise che i suoi vuoti
di memoria e le sue disattenzioni erano troppo gravi. Quell’estate era stata
segnata dalla continua litania: “Non so cosa mi succede!...Non mi ricordo più
niente!” I suoi amici la sopportavano benevolmente e, considerato come vinceva,
giocando a carte con il solito accanimento, non erano particolarmente
preoccupati. Ma Teresa era certa che fosse necessario fare dei controlli
approfonditi, pensando che potesse essere un principio di Alzheimer.
Decise di andare con la zia Lucia in una
casa di cura specialistica per la diagnosi e il trattamento della demenza per
una settimana. Non so come fecero a farsi ricoverare in una struttura
specialistica di quel tipo, perché, per essere ricoverata, qualche disturbo
dovevi pur averlo. Non è che sappia molto sull’Alzheimer, ma se mia madre, che
ragionava benissimo, lo aveva, allora metà della popolazione mondiale era a
grave rischio. Comunque, visto che ognuno è libero di scegliere se andare una
settimana in un centro benessere, oppure in un istituto per la diagnosi e la
cura per la demenza, non dissi nulla e le diedi la mia benedizione.
Due giorni prima di partire Teresa mi
chiamò per salutarmi e mi disse:
“Osmio ti chiamo oggi perché dopodomani mi
ricovero, e domani sera andrò a letto presto. Sai, devo partire alle 5 e mezza…”.
“Perché dovete partire così presto? Con la
macchina è soltanto un’ora di strada”.
E lei sorpresa: “Ma Osmio! Non andiamo in
macchina! Dobbiamo prendere l’autobus!”
“Certo, hai ragione.”, riflettei, “ Che
stupido che sono certe volte! Lo capisco che sarebbe piuttosto strano se due
dementi arrivassero in un centro per la cura dell’Alzheimer in macchina da sole!”
“Si! Prendimi anche in giro! Guarda che io
non sto bene e sono molto preoccupata, se no non mi sarei certo ricoverata. Ma
voi (intendeva noi figli) di me non vi preoccupate, e io devo fare tutto da
sola, dopo avervi dato tutto!”.
Ormai ero grande e non riuscivo più ad
arrabbiarmi. Risposi pacato:
“Senti, fatti curare da chi vuoi e per
quello che vuoi, per me fa lo stesso. Però, non capisco… cosa vuol dire che ci hai dato tutto?”
“Tutto significa, tutto quello che possedevo”.
“Teresa, hai ancora tutto tu! Non ci hai
dato proprio niente, sei usufruttuaria di tutti i beni che ti sono rimasti. L’unica
cosa che, per fortuna, non puoi più fare è venderli, così non corriamo il
rischio di doverti anche mantenere un giorno”.
“Si, è come dici tu.” concluse Teresa, “Voi
volete avere sempre ragione. E’ facile con una donna anziana e stanca...”.
Un pomeriggio, cinque giorni dopo che si
era ricoverata, mi arrivò una telefonata.
“Buonasera”, disse una voce decisa, “sono la Dottoressa Trifolini
e sto seguendo sua madre Teresa qui al Centro.
E’ lei che mi ha dato il suo numero.”
“Molto piacere”, risposi, cercando senza
successo di immaginare cosa potesse volere, “In cosa posso esserle utile?” .
“Volevo metterla al corrente della
situazione di sua madre. Abbiamo fatto tutti i controlli del caso: TAC,
Risonanza Cerebrale, Doppler dei Vasi Carotidei, analisi cliniche, Test….e sono
risultati tutti nella norma. Quindi, possiamo escludere che sua madre abbia al
momento una demenza senile. Anzi, per la sua età sul piano cognitivo và meglio
della media.”
Io, trattenendomi a stento dal ridere, le
dissi: “Ah..bene! Le notizie che mi dà sono molto confortanti. In effetti eravamo
un po’ preoccupati, ma la mamma è una persona molto solida.”
Pensavo che la comunicazione finisse lì,
invece la Dottoressa
aveva appena iniziato: “Si, sul piano fisico sta bene. Ma ho parlato a lungo
con sua madre e credo che i suoi problemi siano legati a uno stato di forte ansia
e depressione”.
“Ah! Uhm! Ok!... E cosa si può fare?”
“Guardi, sua madre è in questa condizione
per diversi motivi. Anzitutto, è molto angosciata per sua sorella Patti, che si
è separata ed è rimasta da sola. Sua madre è preoccupata per il suo
futuro.”
E io, dopo aver tossito per coprire un
inizio di risata: “Certo, capisco, ma le
assicuro che Patti non se la cava così male..” .
“Poi non è riuscita a superare il distacco
da sua sorella Camilla, che è andata a vivere all’estero, non si è sposata e
non ha figli…Ma, soprattutto, è addolorata per il fatto che suo fratello Mario la
tratta male, non si fida di lei, e le fa vedere raramente i bambini.”
E ha ragione, pensavo io, se non facesse
così si ritroverebbe Teresa in mezzo ai piedi tutti i giorni.
“Mi scusi, non voglio criticare suo
fratello… ma questo è quello che vive sua madre, e che la fa soffrire.”
Ero senza parole, e nello stesso tempo
sbalordito dall’abilità di Teresa nel manipolare anche gli esperti del campo,
che avrebbero dovuto capire con chi avevano a che fare.
“So che lei vive fuori”, continuò la dottoressa,
“ma sua madre mi ha detto di rivolgermi
a lei, perché pensa che potrebbe parlare con i suoi fratelli”.
Non sapevo cosa dire : “Si, certo, capisco. Ma con chi e di cosa dovrei
parlare?”, risposi apparentemente comprensivo, mentre cercavo di immaginare
cosa avesse escogitato Teresa.
“Guardi, intanto abbiamo dato a sua madre
una cura farmacologica che potrebbe aiutarla a stare meglio. Ma io sono
specialista in Terapia Familiare e penso che, se non si sciolgono questi nodi,
il problema si ripresenterà.”
Ripresenterà? Pensavo io: ma se è almeno cinquant’anni
che si ripresenta e che ci conviviamo! “Mi scusi dottoressa, come lei ha detto,
io vivo a Roma e quindi, anche se capisco, mi riuscirebbe molto difficile
partecipare a una eventuale terapia di questo tipo. In che modo pensa che
potrei esserle utile?” .
“Potrebbe parlare con sua sorella e con suo
fratello, per spiegare la situazione e chiedere se sono disponibili per una
terapia familiare, che potrebbe aiutare sua madre!”.
Ero strabiliato. Ma chi era questa dottoressa
Trifolini? Una capra in camice bianco?
“Beh”, dissi, “la ringrazio per le
informazioni, e vediamo cosa posso fare.”
Trascorsero diversi minuti prima che
riuscissi a riprendermi. Altro che Alzheimer! Il cervello di mia madre
funzionava benissimo: era anche riuscita a convincere la dottoressa a chiamare
ancora una volta a raccolta i figli attorno a lei. Certo, il nobile fine era di
tenere unita la famiglia, perché il rischio che qualcuno si allontanasse c’era
sempre, quello meno nobile era il suo egocentrismo.
Chiamai subito Patti. “Mi ha chiamato una
simpatica dottoressa del Centro dove è ricoverata Teresa, mi ha detto che tutti
i controlli sono a posto e non ha l’Alzheimer!”.
“E quale è la notizia? Quella l’Alzheimer
ce lo fa venire a noi!”.
“No aspetta…”, dissi io trattenendo le
risate, “la notizia non è questa. Hanno capito che è un po’ depressa perché è molto preoccupata per noi figli, e
vorrebbero iniziare una terapia familiare con tutti i membri della famiglia
disponibili, in pratica con te e con Mario. Che te ne pare?”.
A quel punto scoppiai a ridere.
“Quella è fuori di testa!”, disse seccata
Patti. “Ma che, abbiamo tempo da perdere? Lei ha 75 anni, noi quasi 50, e che
facciamo? Ci mettiamo a fare la psicoanalisi come se fossimo adolescenti? Non
se ne parla neppure. Ora la chiamo e gliene dico quattro.”
“Lascia perdere la chiamo io. A Mario non telefono
neppure, se no mi suona l’inno d’Italia a pernacchie, e poi mi sbatte il
telefono in faccia”.
“Non lo chiamare, è meglio. Invece
ricordati di mandarmi le ultime foto di Zoe. E pensiamo al futuro.”
Chiamai Teresa. Il tutto era decisamente
divertente.
“Ciao Mamma come stai?”
“Mah, un po’ giù. Ti ha chiamato la dottoressa
Trogolini o Trigliolini? Non mi ricordo mai come si chiama, ormai la memoria
non mi assiste più.”
“Si, ho parlato con la dottoressa Trifolini.
Mi ha detto che non sei demente, cosa su cui non avevo molti dubbi. Ma che cosa
le hai raccontato? Come hai fatto a infinocchiarla sino al punto da farle
proporre una psicoterapia familiare?”.
“Osmio, guarda che io le ho soltanto detto
che ero preoccupata per voi, perché ancora non vi vedo sistemati e questo non
mi fa stare tranquilla. Ho 75 anni e, almeno adesso, vorrei un po’ di
tranquillità.” sospirò Teresa.
“Un po’ di tranquillità la dovresti dare a
noi! E cosa vuoi dire con sistemati?
Nessuno è mai definitivamente sistemato, ma non mi sembra che la situazione
necessiti di una psicoterapia familiare!”
“L’idea della pissicoterapia familiare è
della dottoressa Trigolini, o come si chiama, non mia. Io sono solo preoccupata.”
“Comunque, tua o della dottoressa,
scordatela! Non credo… anzi sono sicuro che Patti, e meno che mai Mario, parteciperebbero. Prenditi
una manciata di pasticche, e stattene tranquilla. Mi raccomando, diglielo alla
dottoressa.”
E lei, un po’ offesa: “Va bene, và bene,
lasciamo perdere la pissicoterapia. Ma certo che voi, a vostra madre non la
volete aiutare!”
“Mamma, si dice psicoterapia, e se tu la
vuoi fare va benissimo, ma da sola, non con noi. E non ricominciare con la
solita solfa dei figli ingrati. Ci sentiamo nei prossimi giorni.” e chiusi la
telefonata.