lunedì 6 maggio 2013

Lo scoppio di un polmone!


Improvvisamente, mentre studiavo con Luigi, un dolore acutissimo al torace mi tolse il fiato sino a farmi provare l’impressione di poter morire dopo pochi minuti. Con un esame radiologico venne accertato che si trattava semplicemente di un pneumotorace spontaneo, cioè di un buchino nel polmone attraverso cui entrava un po’ d’aria nella cavità pleurica che normalmente è sottovuoto.
Luigi, che aveva più o meno intuito la gravità del caso, rimase a farmi compagnia. Telefonò a sua madre e le disse: “No mamma, non torno a casa per pranzo, resto qui da Osmio che sta male.” E la madre: “Oh come mi dispiace, ma gli è successo qualcosa di grave?”,
“Non ho capito esattamente”,  rispose Luigi, “ma sembra gli sia scoppiato un polmone”.
Lo scoppio del polmone di destra aveva comportato lunghi e dolorosi strascichi, e durante il successivo ricovero, bloccato a letto con un tubo che dal torace arrivava in un boccione trasparente che ogni tanto gorgogliava in modo vergognoso, avevo temuto più volte di avere il tetano o di cadere da un momento all’altro in preda a una crisi epilettica.
La cosa più tragica, però, era stata la costante presenza di mia madre Teresa che, approfittando della mia condizione di debolezza, come una ambigua crocerossina restava incollata al mio capezzale, preoccupandosi della mia salute e inondandomi del suo opprimente affetto, senza che potessi fare alcunché per sottrarmi.
“Dottore” diceva pressante mia madre al medico che mi aveva operato, “come sta mio figlio stamattina? Lo vedo un po’ pallido! Gli ha misurato la pressione venosa?”.
Il Dottore la guardava irritato, ma le rispondeva con pazienza: “Stia tranquilla Signora, sta bene. Per quanto riguarda la pressione arteriosa, che è quella che normalmente misuriamo,” disse puntualizzando, “suo figlio è giovane e non ha problemi di questo tipo”.
Ma Teresa non mollava: “Bene, grazie a Dio. Però Dottore, glielo dica lei di non alzarsi e di farsi aiutare quando va in bagno, non credo che possa fare sforzi dopo questa operazione!”
“Ma che operazione!”, sbottavo io imbestialito, “E’ solo un tubo di drenaggio! Posso benissimo  andare al cesso da solo! ”.
E il Dottore, sempre paziente: “Signora, suo figlio si può sforzare quanto vuole, anzi più si sforza e respira profondo, più rapidamente elimina l’aria che c’è nella cavità pleurica, così il polmone torna a parete e possiamo levargli il drenaggio”. 
“Va bene” aggiungeva mia madre, per nulla rassegnata, “ma la notte rimango io a dormire con lui, così se ha bisogno gli do una mano”.
Allora cercavo la complicità del medico: “Dottore, ma è proprio necessario che rimanga qualcuno a dormire con me?”
“No, non è indispensabile. Se ha bisogno, basta che suoni il campanello e verrà l’infermiera. Poi decida lei se vuole compagnia.”
“Se è per la compagnia….preferisco che resti la mia fidanzata!” proponevo provocatoriamente, sapendo che Teresa non avrebbe mai acconsentito.
Infatti si stizzì: “Osmio, ma che dici! Beatrice deve tornare a casa sua, non può restare a dormire qui!”.
“Allora preferisco stare da solo”. 

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