Improvvisamente, mentre studiavo con Luigi,
un dolore acutissimo al torace mi tolse il fiato sino a farmi provare
l’impressione di poter morire dopo pochi minuti. Con un esame radiologico venne
accertato che si trattava semplicemente di un pneumotorace spontaneo, cioè di
un buchino nel polmone attraverso cui entrava un po’ d’aria nella cavità
pleurica che normalmente è sottovuoto.
Luigi, che aveva più o meno intuito la
gravità del caso, rimase a farmi compagnia. Telefonò a sua madre e le disse:
“No mamma, non torno a casa per pranzo, resto qui da Osmio che sta male.” E la
madre: “Oh come mi dispiace, ma gli è successo qualcosa di grave?”,
“Non ho capito esattamente”, rispose Luigi, “ma sembra gli sia scoppiato un
polmone”.
Lo scoppio del polmone di
destra aveva comportato lunghi e dolorosi strascichi, e durante il successivo
ricovero, bloccato a letto con un tubo che dal torace arrivava in un boccione
trasparente che ogni tanto gorgogliava in modo vergognoso, avevo temuto più
volte di avere il tetano o di cadere da un momento all’altro in preda a una
crisi epilettica.
La cosa più tragica, però, era
stata la costante presenza di mia madre Teresa che, approfittando della mia
condizione di debolezza, come una ambigua crocerossina restava incollata al mio
capezzale, preoccupandosi della mia salute e inondandomi del suo opprimente
affetto, senza che potessi fare alcunché per sottrarmi.
“Dottore” diceva pressante mia
madre al medico che mi aveva operato, “come sta mio figlio stamattina? Lo vedo
un po’ pallido! Gli ha misurato la pressione venosa?”.
Il Dottore la guardava
irritato, ma le rispondeva con pazienza: “Stia tranquilla Signora, sta bene.
Per quanto riguarda la pressione arteriosa, che è quella che normalmente
misuriamo,” disse puntualizzando, “suo figlio è giovane e non ha problemi di
questo tipo”.
Ma Teresa non mollava: “Bene,
grazie a Dio. Però Dottore, glielo dica lei di non alzarsi e di farsi aiutare
quando va in bagno, non credo che possa fare sforzi dopo questa operazione!”
“Ma che operazione!”, sbottavo
io imbestialito, “E’ solo un tubo di drenaggio! Posso benissimo andare al cesso da solo! ”.
E il Dottore, sempre paziente: “Signora,
suo figlio si può sforzare quanto vuole, anzi più si sforza e respira profondo,
più rapidamente elimina l’aria che c’è nella cavità pleurica, così il polmone
torna a parete e possiamo levargli il drenaggio”.
“Va bene” aggiungeva mia madre,
per nulla rassegnata, “ma la notte rimango io a dormire con lui, così se ha
bisogno gli do una mano”.
Allora cercavo la complicità
del medico: “Dottore, ma è proprio necessario che rimanga qualcuno a dormire
con me?”
“No, non è indispensabile. Se
ha bisogno, basta che suoni il campanello e verrà l’infermiera. Poi decida lei
se vuole compagnia.”
“Se è per la
compagnia….preferisco che resti la mia fidanzata!” proponevo provocatoriamente,
sapendo che Teresa non avrebbe mai acconsentito.
Infatti si stizzì: “Osmio, ma
che dici! Beatrice deve tornare a casa sua, non può restare a dormire qui!”.
“Allora preferisco stare da
solo”.
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