domenica 26 maggio 2013

Stasera soltanto un po di bassa pubblicità!

“Un uovo strapazzato” di Nello Brogna

Un romanzo ironico e divertente che si degusta facilmente, e dopo averlo finito vorreste assaporarne ancora. Negli intrugli dei complicati rapporti di un uomo con la famiglia, con le donne della sua vita…..non soltanto le fidanzate, ma anche la madre, le sorelle, le zie, le amiche……e soprattutto con se stesso, alla ricerca di un equilibrio “maturo”!!



martedì 21 maggio 2013

La grande e saggia Nonna. Più grande della buoganvillea che è dietro di lei!!


LA NONNA SANTINA

In quel periodo anche la nonna Santina viveva dalla zia Rosa. In genere era mia madre a tenerla a bada, ma negli ultimi tempi si davano un po’ il cambio. La nonna era sull’orlo degli ottanta anni, e il declino dell’efficienza dei suoi neuroni cominciava a manifestarsi con prepotenza, in contrasto con il fisico che reggeva ancora benissimo.
Mio padre, che doveva accettare la sua presenza in casa, la osservava terrorizzato mangiare con la voracità di un gorilla di montagna.
“Con l’appetito che ha, vivrà ancora almeno vent’anni!”, diceva con un tono di rassegnata disperazione, “Dovreste vedere come supera tutte le malattie!”.
Ormai la nonna aveva molte difficoltà a ricordare ciò che era accaduto nei momenti precedenti, e il suo presente le si riproponeva immutato molte volte.
In altre parole ripeteva sempre le stesse cose.
In genere erano domande cariche di preoccupazione, che non si esaurivano nonostante le reiterate risposte dei miei familiari, che non si rassegnavano ad accettare il fatto che dopo trenta secondi si ritrovavano al punto di partenza. Era una specie di incubo, un po’ come sparare a “Terminator 2” che, dopo pochi secondi, si riaggiustava da solo.
La domanda che batteva tutti i record di ascolto coatto era:
“Ma Rosa dov’è? È uscita?”.
Questa domanda veniva posta a tutti indistintamente, sia che la zia Rosa fosse presente, sia che non lo fosse. Qualche volta, in preda al terrore, la rivolgeva alla zia Rosa stessa.
Un altro aspetto particolare era la scomparsa dal suo panorama di quasi tutti i concetti più astratti, mentre si espandevano quelli più concreti.
Una sera, a una cena in suo onore in cui eravamo invitati quasi tutti noi nipoti, lei ci accolse con una certa perplessità poi, riconoscendoci, cominciò:
“Ahh, Osmio”, e baciandomi, “Piii… ma che? Sei diventato più alto?”.
Poi, guardandomi meglio: “Mah, sembri più magro!”.
Quindi si girò verso Patti: “Ma ti sei dimagrita?…Sembri così bassina!”.
E a Paola, una delle figlie della zia Rosa, che entrava con il fratello Silvio:
“Ma tu sei Paola!…Ma sei ingrassata?….Però sembri più alta!”.
Alto/basso e magro/grasso erano i suoi concetti chiave, e li utilizzava in tutte le possibili varianti, in frasi affermative, dubitative o francamente interrogative. Quella sera era particolarmente di buon umore e, tranne rare eccezioni, ci vedeva tutti più alti.
In quel periodo di vacanza a Roma, la zia Rosa era riuscita a farle fare una serie di cose, che in altri tempi la nonna avrebbe definito ridicole. Le preparava un gin-tonic come aperitivo prima della cena, facevano la doccia insieme, la portava alle sue sedute di Shiatzu e agli incontri dell’Istituto Giapponese di Cultura. Mia nonna stava bene dovunque, distribuendo alti, bassi, magri e grassi a tutti, e chiedendo a intervalli cadenzati:
“Ma Rosa dov’è?”.
Se la zia doveva uscire, la lasciava con una sua vecchia domestica. Mia nonna non la sopportava e, quando Rosa tornava, tra la rabbia e le lacrime, si lamentava: “Ma ti sembra giusto lasciare una donna vecchia e malata (a parte il depauperamento neuronale era sanissima) a casa da sola? E chi è questa estranea che mi guarda sempre e mi fa venire il mal di testa?”. Poi accusava la domestica di darle le medicine sbagliate, di farla cadere apposta e di tramare le cose peggiori ai suoi danni.
In una di queste occasioni, la nonna decise di uscire da casa e, trovando la porta sbarrata, cominciò a urlare e minacciare. La domestica, temendo che fuori si sarebbe persa, ovviamente si rifiutò di aprirle. Santina non si perse d’animo, prese il telefono, compose il 113 e con decisione denunciò:
“Sono la signora Santina. Ho 62 anni, venite a liberarmi… mi tengono sequestrata!”.
Purtroppo non ricordava né dove abitava, né il numero di telefono della zia Rosa, quindi la polizia non poté intervenire per liberarla.

Per leggere anteprima
Se volete compratelo sul sito ilmiolibro.it
E’ divertente!




lunedì 13 maggio 2013

L'amore è cieco! Ma non ci si innamora per caso!!



Dal mio libro, se ti piace leggi l'anteprima......  questo è il link:

Rientrato a Roma rividi Federica. Ero più innamorato di prima, nonostante continuasse a raccontarmi di Maurizio, di Michele, di Carlo e di tutti gli altri ex o attuali spasimanti, che, a suo dire, continuavano a corteggiarla, nonostante lei fosse assolutamente chiara e cristallina con tutti.
Mi infastidiva saperla cercata, desiderata e forse anche amata da altri, ma lei mi rassicurava dicendo che tutto questo non modificava quello che provava per me. Io ero sicuro che un giorno lei sarebbe cambiata e la giustificavo. Cosa poteva fare? Troncare bruscamente quei rapporti di amicizia, soltanto perché io ero geloso? Essere maleducata? Sparire colpevolmente come fanno molte persone quando si fidanzano?
Pensavo che per lei fosse difficile chiudere con tutti in quel momento, senza essere completamente sicura di me, perché ancora le servivano per sostenere la sua autostima.
Io ero innamorato, e aspettavo fiducioso l'evolversi del nostro rapporto.
Quando oggi ripenso a quel periodo mi domando come sia possibile rimanere imbecilli e acritici per un tempo così lungo e, anche se allora ero sicuro della fedeltà di Federica, oggi non escludo affatto di aver avuto, come si dice in Sicilia, “più corna di un cesto di vaccaredde” (che sarebbero le lumache, che hanno un paio di corna ciascuna e in un cesto ce ne entrano centinaia).
Per definizione l’amore è cieco. Quindi, all’inizio, non vedevo o non davo importanza a queste cose e non soffrivo più di tanto. Credevo che, restando al suo fianco, avrebbe capito che ero unico e tutto si sarebbe sistemato.
Il mio amore era come un lucido delirio inattaccabile alla critica, carico di fantasie di bene e felicità. A posteriori, la cosa più sorprendente era come in questa condizione avevo accettato o rivisto posizioni che sino ad allora avevo ridicolizzato, o comunque mai condiviso. Anche un doppio salto mortale mi sembrava un andamento lineare tra me e il mio passato.
Sicuramente avevo fatto molti progressi, ma la stabilità della mia identità doveva ancora essere piuttosto precaria, pur essendo, allora, convinto del contrario.
Già dopo pochi mesi io e Federica avevamo deciso di sposarci l’autunno successivo, se lei fosse riuscita a ottenere il trasferimento a Roma. Per il momento non avevo informato la mia famiglia del nostro progetto; era inutile lanciare una bomba che forse non sarebbe neanche esplosa.
A me non sembrava affatto di aver preso una decisione avventata, anche se la conoscevo da poco. Ero convinto che entrati nell’età adulta non fosse necessario molto tempo per capire chi avevi di fronte e cosa volevi insieme a lei.
Insomma le mie esigenze sostenevano la mia scelta, mentre le mie emozioni erano fuori gioco. Quello che decidevo doveva soltanto essere ragionevole e, in effetti, sembrava esserlo.
Anche se Antonio ogni tanto mi fissava per un po’ e poi mi domandava:
“Ma sei proprio sicuro di volerla sposare? Certo è carina, brillante, intraprendente, ma non so….sono perplesso sul fatto che sia adatta a te”.
“No, Antonio”, dicevo io senza incertezze, “forse per la prima volta nella vita sono convinto di una cosa  e non perderò l’occasione di farla”.
Ero come un treno senza freni lanciato a tutta velocità: non vedevo ostacoli, stazioni, né la fine dei binari.
Bisognerebbe essere più cauti quando una cosa ti capita per la prima volta nella vita. Ma ero stato talmente cauto sino ad allora, avevo evitato tanti rischi e non volevo più essere così. Se avessi perseverato nell’indecisione, come in passato, non mi sarei sposato neanche a cinquant’anni.
Inoltre, avevo finalmente raggiunto una solida convinzione e, come la maggior parte delle persone, difficilmente l’avrei abbandonata, a meno che non fosse diventata assolutamente insostenibile. Noi uomini spesso siamo dei pessimi scienziati e non accettiamo di prendere in considerazione ciò che non conferma le nostre teorie, così perdiamo molto tempo in imprese assurde o disperate, piuttosto che dedicarlo a sviluppare qualcosa di migliore.

Se vuoi comprarlo nel blog ci sono tutte e indicazioni:


mercoledì 8 maggio 2013

Gli anni del profilattico! Con un po di leggerezza..


Quelli furono anche gli anni del profilattico.
Questo oggetto, che fino ad allora avevo utilizzato qualche volta con gli amici soltanto per gioco, era diventato necessario e a volte indispensabile. Devo dire che quell’untuoso prodotto mi ha sempre generato bizzarre sensazioni, e ogni volta che ne mettevo uno mi veniva regolarmente da ridere. Non so spiegare perché, l’unica cosa che mi viene da dire è che lo trovo “buffo”.
All’inizio era stato difficile decidere quale usare. Il primo problema da risolvere era se fosse meglio con o senza il serbatoio. Il concetto di serbatoio era altrettanto ridicolo: quale quantità di liquido avrebbe dovuto contenere questo benedetto serbatoio? Comunque optai per il serbatoio, e avevo ragione, perché quelli senza serbatoio dopo un po’ vennero tolti dal commercio.
Il secondo problema era scegliere il tipo tra una gamma piuttosto ampia, quindi, decisi di comprarne una scatola da 6 di tutti quelli che mi interessava provare. Nello stesso giorno feci il giro di svariate farmacie, tutte lontane da casa, e in ognuna presi una confezione diversa. Farlo nello stesso giorno mi rese il compito più agevole, infatti, non fu facile trovare il coraggio di comprarli, in particolare se la farmacista era una donna, ma ripetendo l’operazione più volte in poco tempo, alla quarta o quinta scatola mi sentivo molto meno imbarazzato.
Ovviamente non compravo tutti quei profilattici perché avessi chissà quale vita sessuale, ma soltanto per avere una scelta nel caso fosse capitato.
Alla fine ne avevo di tutti i generi, prevalentemente erano del tipo sottile, nelle varianti supersensibile, supersottile, contatto, nudo, invisibile e addirittura “NULLA”. La fantasia dei produttori per distinguersi tra loro non aveva limiti. Poi c’erano quelli anatomici, che avrebbero dovuto stare a pennello; quelli ritardanti, quelli stimolanti, quelli ritardanti per lui e stimolanti per lei. Avevo evitato di comprare quelli stimolanti per lui e ritardanti per lei, perché pensavo che nel mio caso non fossero utili. A pensarci bene, però, una volta, durante il primo viaggio con mio fratello Mario, ero stato con una ragazza dell’Europa del Nord che arrivava alla fine, rispetto a me, con una proporzione di cinque o sei volte a una. Ma pensavo che fosse altamente improbabile che tale situazione si ripetesse.
Ne avevo anche una serie esterofila (in Italia sono sempre molto richiesti i prodotti con nomi inglesi) si chiamavano: endurance, extra pleasure, long distance, intense…tutti nomi che promettevano sensazioni speciali.
Allora non erano ancora in commercio né quelli colorati verdi, gialli o viola che Julia Roberts offriva a Richard Gere in Pretty Woman, né quelli saporiti al gusto di limone, mora, lampone, gianduia e nocciola, stracciatella o frutto della passione. Ammetto che, anche se fossero stati in vendita, non li avrei comprati comunque: già mi veniva da ridere con quelli normali color plastica, figurarsi se me lo vedevo verde o viola!  Per quanto riguarda quelli saporiti…già sopporto poco di avere addosso profumi, perché preferisco avere il mio personale odore. Al pensiero di avere un sapore diverso, mi sarei sentito completamente a disagio.
Alla resa dei conti non è che ne abbia usati molti. In ogni caso non ho mai capito le differenze tra loro. Infatti capitava che l’anatomico faceva le pieghine, che andavo veloce con il ritardante e lento con il nudo.. insomma, era ogni volta un po’ diverso. Credo che per riuscire a discriminarli con precisione sia necessario usarli almeno 100 volte ciascuno, oppure leggere un saggio sull’argomento scritto da un pornodivo, che al momento non mi sembra sia stato ancora pubblicato.
Altro problema correlato al suo uso, era per me il momento di toglierlo. Regolarmente, ogni volta che con cautela tiravo fuori il coso impermeabilizzato, ero convinto che il profilattico si fosse rotto. Per fortuna la tecnologia produce gomme piuttosto resistenti e anche se la paura della rottura non l’ho mai superata, non mi è mai capitato che se ne rompesse uno.
L’ultimo problema da risolvere era lo smaltimento. Dove buttarlo alla fine? Spesso mi riducevo a portarlo fuori in tasca. Per evitare spargimenti lo stiravo e gli facevo un nodo in mezzo poi,  guardandomi attorno come un ladro, lo gettavo nei rifiuti quando ero sicuro che nessuno mi vedesse, quasi dovessi vergognarmi della deplorevole attività per cui era stato usato. 

Leggete l'anteprima e compratelo, se vi interessa.


lunedì 6 maggio 2013

Lo scoppio di un polmone!


Improvvisamente, mentre studiavo con Luigi, un dolore acutissimo al torace mi tolse il fiato sino a farmi provare l’impressione di poter morire dopo pochi minuti. Con un esame radiologico venne accertato che si trattava semplicemente di un pneumotorace spontaneo, cioè di un buchino nel polmone attraverso cui entrava un po’ d’aria nella cavità pleurica che normalmente è sottovuoto.
Luigi, che aveva più o meno intuito la gravità del caso, rimase a farmi compagnia. Telefonò a sua madre e le disse: “No mamma, non torno a casa per pranzo, resto qui da Osmio che sta male.” E la madre: “Oh come mi dispiace, ma gli è successo qualcosa di grave?”,
“Non ho capito esattamente”,  rispose Luigi, “ma sembra gli sia scoppiato un polmone”.
Lo scoppio del polmone di destra aveva comportato lunghi e dolorosi strascichi, e durante il successivo ricovero, bloccato a letto con un tubo che dal torace arrivava in un boccione trasparente che ogni tanto gorgogliava in modo vergognoso, avevo temuto più volte di avere il tetano o di cadere da un momento all’altro in preda a una crisi epilettica.
La cosa più tragica, però, era stata la costante presenza di mia madre Teresa che, approfittando della mia condizione di debolezza, come una ambigua crocerossina restava incollata al mio capezzale, preoccupandosi della mia salute e inondandomi del suo opprimente affetto, senza che potessi fare alcunché per sottrarmi.
“Dottore” diceva pressante mia madre al medico che mi aveva operato, “come sta mio figlio stamattina? Lo vedo un po’ pallido! Gli ha misurato la pressione venosa?”.
Il Dottore la guardava irritato, ma le rispondeva con pazienza: “Stia tranquilla Signora, sta bene. Per quanto riguarda la pressione arteriosa, che è quella che normalmente misuriamo,” disse puntualizzando, “suo figlio è giovane e non ha problemi di questo tipo”.
Ma Teresa non mollava: “Bene, grazie a Dio. Però Dottore, glielo dica lei di non alzarsi e di farsi aiutare quando va in bagno, non credo che possa fare sforzi dopo questa operazione!”
“Ma che operazione!”, sbottavo io imbestialito, “E’ solo un tubo di drenaggio! Posso benissimo  andare al cesso da solo! ”.
E il Dottore, sempre paziente: “Signora, suo figlio si può sforzare quanto vuole, anzi più si sforza e respira profondo, più rapidamente elimina l’aria che c’è nella cavità pleurica, così il polmone torna a parete e possiamo levargli il drenaggio”. 
“Va bene” aggiungeva mia madre, per nulla rassegnata, “ma la notte rimango io a dormire con lui, così se ha bisogno gli do una mano”.
Allora cercavo la complicità del medico: “Dottore, ma è proprio necessario che rimanga qualcuno a dormire con me?”
“No, non è indispensabile. Se ha bisogno, basta che suoni il campanello e verrà l’infermiera. Poi decida lei se vuole compagnia.”
“Se è per la compagnia….preferisco che resti la mia fidanzata!” proponevo provocatoriamente, sapendo che Teresa non avrebbe mai acconsentito.
Infatti si stizzì: “Osmio, ma che dici! Beatrice deve tornare a casa sua, non può restare a dormire qui!”.
“Allora preferisco stare da solo”. 

Questa è il link dell'anteprima del libro, se vi incuriosisce compratelo:


mercoledì 1 maggio 2013

Lasciamo perdere le donne per un attimo. Ma perché finisci in ospedale? (Un posto speciale da evitare).


Nella vita reale, continuavo a non stare fisicamente tanto bene e, tra un doloretto e l’altro, mi ritrovai a dovermi operare per un “piccolo” problema.
Ovviamente l’intervento era “piccolo” per i chirurghi quando parlavano con i pazienti; era invece “complesso”, perché spesso il problema recidivava, quando parlavano con i colleghi. Per me era semplicemente terrorizzante. Dicevano che tutto era imputabile ai residui filogenetici della coda, che negli esseri umani era con il tempo scomparsa, ma a me purtroppo non completamente.
Ero angosciato dal fatto che sarei stato sottoposto a una anestesia generale. L’idea di quella necessaria sospensione della coscienza, di cosa sarebbe successo al mio io in quel periodo buio e se alla fine sarei riuscito a risvegliarmi e ritrovarmi, mi lasciava senza parole.
Nei giorni precedenti, la mia mente fu occupata in elevate speculazioni filosofiche, su temi come: la morte, l’amore, il piacere, la libera scelta.
Ritornato cosciente dopo l’intervento, che era andato bene, abbandonai le astrazioni, divenni molto più concreto e pensavo arrabbiato:
“Ho il culo rotto! Sono ricoverato da tre giorni e non sopporto più questo posto. Ho anche un po’ di febbre, e temo che questo prolungherà la mia permanenza qui”.
L’unica nota divertente erano le telefonate di mio fratello Mario che a voce altissima diceva: “Ahuugg…, come sta il grande capo culo scucito? Cosa ha detto lo stregone bianco, che riuscirai a cagare come prima? O forse avendo due buchi sarà ancora più semplice?… E quando ti rimandano nella tua tenda?”.
Ridevo, ma mi tiravano i punti e temevo che mi si sarebbero scuciti sul serio.
L’ospedale è un posto tremendo, a meno che tu non stia veramente male.
Penso che le persone  che ci lavorano o che ci soggiornano esprimano in questo posto alcuni aspetti estremi e spesso negativi di se stessi. Questo vale sia per i medici, sia per gli infermieri, sia per i pazienti: tutti manifestano in modo amplificato alcuni tratti del loro carattere. Non so….forse dipende dal fatto che manca o è molto sacrificata la dimensione privata.
C’è chi esercita il proprio potere sugli altri, e non è detto che lo faccia più il medico che non il paziente o l’infermiere, chi sessualizza il rapporto terapeutico, chi pratica l’intolleranza nei rapporti umani. Ci sono quelli che estremizzano le paure del contagio, e quelli che amano contagiare. Ci sono quelli che ti devono aiutare anche se non vuoi essere aiutato, e quelli che  non si fanno aiutare anche se ne hanno un estremo bisogno. Ci  sono quelli che diventano troppo bambini, quelli troppo adulti, e i vecchi saggi. C’è chi si culla con l’idea della morte, e chi vuole evitare di esserne sfiorato. Questi temi sono comuni a tutti, indipendentemente dai loro ruoli. I medici, gli infermieri e i pazienti sono, all’interno dell’ospedale, sia i persecutori che le vittime.
Da questo mondo “speciale” ne esci solo quando sei dimesso, o quando con grande sollievo timbri il cartellino per tornare a vivere normalmente.