sabato 30 marzo 2013

Coppie.... scoppiate!


In quel periodo ero abbastanza catalettico, e non riuscivo a scuotermi da quella sonnolenza della critica e dell’iniziativa.
Sapevo, per averlo notato più volte, che spesso le coppie al momento in cui non ci sono più ostacoli allo sviluppo della relazione implodono improvvisamente.
Coppie che erano state insieme a lungo vivendo in città diverse, appena si ricongiungevano e non c’era più la distanza a separarle, in poco tempo scoppiavano. Oppure amanti che, dopo anni di attesa e di sofferenza, quando lui o lei finalmente si separava, in breve tempo si lasciavano.
Appena il legame si stringeva, i problemi erroneamente attribuiti alla lontananza o all’impossibilità di stare insieme, emergevano come un fungo atomico e il legame saltava lasciando tutti sorpresi e feriti.
Ma io pensavo che con Federica non fosse così e che fossero solo le mie paure e i miei timori a rendermi dubbioso e incerto. Forse sarebbe bastato che lei rimanesse incinta e tutte le esitazioni sarebbero state superate. Purtroppo o per fortuna, questo non accadeva.

giovedì 28 marzo 2013

Rapporti! Anche se non sembra,.....sono stati importanti!


Avevo diverse ambigue amiche in quel periodo ma come fidanzata scelsi Maura, una figura eterea, vaga e di poche parole. Le amiche di cui sopra l’avevano, molto carinamente, soprannominata la “sordomuta”. Le donne non si risparmiano critiche quando sono in competizione. Poiché in passato ero stato sordomuto anch’io, in qualche misura mi sentivo affine. Con Maura, pur non riuscendo a comunicare grandi cose verbalmente, c’era una sorta di affetto di fondo, come tra due naufraghi che si sostengono reciprocamente, e sessualmente la situazione era piacevole, “quasi normale”.
Dopo un mese non avevo ancora capito come definire il nostro “vago” rapporto, ma prima di Pasqua me lo chiarì lei quando al telefono mi disse: “Sto male!”  seguito da una pausa di 34 secondi.
Allora le domandai: “Scusa, prova  a spiegarmi perché stai male”.
E lei: “Ho problemi personali”, altra pausa di 38 secondi. Poi aggiunse: “Devo andare ….mi faccio sentire fra 3 o 4 giorni”.
Abbreviando la solita pausa, io la incalzai: “Aspetta, puoi spiegarmi perché fra 3 o 4 giorni?”.
Pausa record di 47 secondi.
“Stasera arriverà un mio amico ungherese, e starò con lui qualche giorno!”. Perlomeno era sincera.
Stavolta la pausa la feci io, incerto su cosa rispondere: seccarmi, offendermi, fregarmene o sparire?
Ma dalla bocca mi uscì soltanto un: “Ok..ok…”. 
E lei: “Grazie ti richiamo giovedì”.
Passato un altro mese, durante il quale la incontravo ogni tanto, per poi pentirmi, lei, tra una lunga pausa e un’altra, disse con uno sguardo comprensivo: “Tu dovresti vedermi solo quando ne hai voglia……..e solo quando pensi di star bene con me.”
Ero già abbastanza perplesso, quando lei aggiunse: “Ma ….forse è meglio se non ci vediamo”. E ancora: “Certo è molto triste non vederti…Però..se ci vediamo io soffro….Non so, decidi tu!”
Sentirla mi procurava uno stato di marasma mentale, anche se non c’era dubbio che di vedersi non era proprio il caso.
Con lei, accettato il fatto che non si arrivava da nessuna parte visto che affettivamente era tutto troppo nebuloso e caotico, rimanemmo amici, cosa che non si era mai verificata con nessuna precedente fidanzata.
Per diventare amici dopo essere stati fidanzati bisognava accettare la perdita del possesso, dell’illusione dell’amore, del ruolo di amante, e non era assolutamente facile che questa impresa riuscisse a tutti e due. 

domenica 24 marzo 2013

Il brillante polverizzato! La storia di una famiglia siciliana.


Intanto erano cominciati i preparativi per il matrimonio di mio fratello Mario, e io scesi in Sicilia una settimana prima per dare una mano. La nostra casa al mare, dove si sarebbe svolta la festa, venne sistemata e il giardino abbellito. Devo ammettere che era molto carina e c'era una splendida vista………………………………………………....
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Però era una bella casa, adatta per festeggiare il matrimonio di Mario e in quel momento eravamo tutti lì, evento che difficilmente si sarebbe ripetuto in futuro.
I preparativi per il matrimonio procedevano febbrilmente quando accadde un fatto imprevisto.
Cinque giorni prima del matrimonio il brillante destinato a Claudia sparì misteriosamente.
Teresa diceva di averlo avvolto nella carta stagnola, messo in una busta di carta chiusa con lo scotch, e nascosto in una scatola dell'elettricità, cioè in una di quelle scatolette che si trovano murate nelle parte alta delle pareti di casa, che servono ad accedere ai diversi settori dell'impianto elettrico. Questa scatola si trovava all’ingresso del salone, ma quella mattina quando l’aveva aperta, il brillante non c'era più. Teresa diceva di aver trovato la busta vuota con dentro una strana polverina simile a cenere.
Questo evento gettò tutti nello sgomento: Teresa come prima spiegazione aveva ipotizzato che una corrente elettrica anomala avesse colpito il brillante e lo avesse polverizzato!
“Non diciamo fesserie” sostenni io, “i brillanti sono pietre durissime, credo che neanche la scarica di un fulmine riuscirebbe a polverizzarli. Pensiamo, invece, a chi potrebbe averlo rubato, e vista l'entità della cosa mi sembra sia il caso di denunciare il furto”.
La squadra investigativa caoticamente comandata da Teresa aveva passato al setaccio tutte le possibilità. Si era pensato a un ladro proveniente dall’esterno, ma non c’erano state effrazioni di porte o finestre, e questa possibilità era rimasta sospesa e senza prove.
Poi erano state indagate le persone di servizio che avevano accesso alla casa, cioè quelle nostre e quelle dei miei zii che abitavano accanto a noi, perché potevano aver visto Teresa nascondere il brillante nella scatola.
Carmelina, la nostra donna di servizio venne esclusa dopo un acceso dibattito, lavorava da noi da molti anni, era affidabile, e, nonostante tutto quello che Teresa le faceva passare, voleva un gran bene a mia madre. Ma non furono queste le motivazioni principali che portarono alla sua esclusione. Infatti, Carmelina stazzava 106 chili per 1 metro e 52, aveva grossi seni che sembrava potessero sbilanciarla in avanti se non manteneva in asse il baricentro, non era molto agile e non saliva più di due gradini di una scala per il timore di cadere. Poiché, per arrivare alla scatola dell’elettricità e svitarla bisognava salire in cima alla scala dubitavamo fortemente che Carmelina si fosse lanciata in un’impresa così acrobatica.
Toccò poi ai due ragazzi dello Sri Lanka che lavoravano da mia zia da diversi anni. Erano sposati e molto grati a mia zia, che gli dava la possibilità di lavorare e vivere insieme da lei. Lui era venuto ogni tanto da noi a chiedere o portare qualcosa ed era possibile che avesse visto mia madre nascondere il brillante. Qualcuno aveva anche ipotizzato che dal terrazzo della casa dei miei zii potessero aver visto mia madre salire sulla scala. Mia zia gli chiese qualcosa in proposito, ma non ebbe il coraggio di andare oltre: si fidava troppo di loro.
Intanto il fatto venne denunciato ai Carabinieri, che promisero di venire a fare dei rilievi che non fecero mai, asserendo che sicuramente si trattava delle persone di servizio.
Venne preso in considerazione anche Alfio, il giardiniere settantenne che era curvo a 60 gradi e lavorava per mio Padre da almeno trentacinque anni. Ma nessuno riusciva a immaginare quel mite anziano curvo e nodoso nelle vesti di un astuto ladro.
Insomma, con il personale di servizio non si arrivò da nessuna parte, e tornò in ballo l'ipotesi della polverizzazione. Teresa chiamò per telefono il Signor Pulvirenti, il gioielliere di famiglia, gli spiegò l’accaduto e poi gli chiese: “ Secondo lei, è possibile che con una forte corrente elettrica il brillante si sia polverizzato?”
Il Signor Pulvirenti che, oltre a essere un esperto di pietre, era anche un profondo conoscitore delle vita delle famiglie siciliane, dopo una breve pausa chiese a Teresa: “Signora, mi scusi, ma lei questo brillante da quanto tempo ce l’ha?”.
Mia madre, pur perplessa per la domanda, rispose: “Beh, quanto sarà? Quasi trent’anni.”
Con la sottile ironia caratteristica di alcuni siciliani, il Signor Pulvirenti aggiunse: “E allora, Signora Teresa, se per quasi trent’anni non è successo niente, perché si sarebbe dovuto polverizzare proprio adesso che lo doveva dare a sua nuora?”.
Teresa non mise al corrente la squadra investigativa del contenuto della telefonata, ma genericamente spiegò che il Signor Pulvirenti escludeva la teoria della polverizzazione.
Poi vennero considerate ipotesi molto più inquietanti. Si pensò a Patti o a Camilla, ma furono subito scartate: avevano altro per la testa che rubare brillanti, in altri termini non avevano alcun movente. Ipotizzo che in mia assenza sia stato indagato anche io, ma se così fu non ne seppi mai nulla, quindi non vi saprei dire i motivi per cui fui scartato.
Infine, venne sospettato lo stesso Mario, che forse aveva bisogno di soldi per il matrimonio.
“Ma cosa cavolo dite?!” intervenni io stupito, “Ma vi sembra ragionevole che Mario rubi qualcosa che tra qualche giorno sarà sua, e che ha piacere di regalare a sua moglie? Ma siete fuori di testa?” .
Mario era imbufalito, non partecipava ai lavori del team investigativo e per fortuna nessuno gli disse che anche lui era stato per brevissimo tempo un sospetto. In quei giorni parlava poco e guardava torvo Teresa, che peraltro era stata accuratamente esclusa dalla lista degli indagati per evitare che si generasse una crisi familiare irreversibile.
Dopo due giorni di inutili investigazioni, Filippo andò in città e comprò un nuovo brillante per Claudia, che venne montato a tempo di record perché fosse pronto il giorno del matrimonio. Filippo non avrebbe potuto tollerare di non regalare il brillante alla prima nuora, e se ci fosse stato bisogno avrebbe ipotecato la casa per comprarne un altro.

giovedì 21 marzo 2013

Ai lettori del Blog "Un uovo strapazzato"


Ho guardato le visualizzazioni del blog che ho fatto per il mio libro e ho visto che sono 999 e mi sono emozionato, non avrei mai creduto che tanti avrebbero letto quello scrivo. Sono contento e vi ringrazio tutti, mi piacerebbe avere i vostri commenti, ma io sono il primo che non li faccio anche quando una cosa mi piace. Quindi, se non mi commentate va bene lo stesso, ma continuate a leggermi perché questo è l’unico motivo per cui scrivo e pubblico. Spero di riuscire in futuro a coinvolgervi di più, ma non so bene come fare. Se avete suggerimenti, li accolgo volentieri. A presto!.

lunedì 18 marzo 2013

Esperienze ....! La pesca al calamaro a Panarea.


Dopo queste nuove esperienze nel mondo dei sensi, pur mantenendo radicato il mito dell’orgasmo in contemporanea, avevo cominciato a capire qualcosa di fondamentale.
Le donne non mi sceglievano per quello che ero o credevo di essere, nella loro testa di me c’era molto poco, mi vestivano (o svestivano) delle loro fantasie e dei loro fantasmi personali. Quindi, tutte quelle stupidaggini sulla virilità, l’abilità, le prestazioni, il tempo, i rapporti consecutivi etc. contavano più o meno quanto “il due di briscola”, come si dice da noi in Sicilia. Non valeva la pena farsi troppi problemi se le cose non andavano bene, né sentirsi un supermaschio se succedeva il contrario. Forse, l’unica possibilità di cui disponevo, era quella di capire quali fossero le chiavi per entrare in sintonia con la donna in questione. Ma dovevo cercare di utilizzarle prima possibile, perché non era raro che dopo poco lei decidesse di cambiare la serratura o invertire le porte, e tutto diventava più difficile.
Ero in qualche misura ancora “adolescente”? Il sesso “adulto” sarebbe stato completamente diverso? Ero confuso e quindi cercavo di accumulare esperienze per approfondire le mie conoscenze.
Un’altra conquista la feci durante le vacanze estive a Panarea, dove conobbi Gertrud, una ragazza tedesca che faceva la gallerista a Friburgo ed era in vacanza in Italia con due amiche.
Telefonicamente mio fratello Mario mi spiegò in poche battute come bisognava comportarsi sull’isola: “Osmio, unni sì?….. A Panareaa?…..
I peri scausi ci l’hai? U pareo ti l’hai miso? O Raja c’hai stato? …. Grandissimo cornuto!” ( traduzione: Osmio, dove sei?…A Panareaa?…
I piedi scalzi li hai? Il pareo te lo sei messo? Al Raja ci sei stato? …. Grandissimo cornuto!” che è uguale anche in Italiano).
Con Gertrud ci unimmo fisicamente una sera su un muretto che delimitava una spiaggia deserta. Nel bel mezzo dell’unione carnale mi sentii conficcare le sue unghie nella schiena: “Ehi” le dissi, “ così mi fai male, e non riesco ad andare avanti”.
E lei, guardandomi perplessa: “Possibile? A te non piacere dolore?”.
“Non te la prendere” risposi, “capisco che è intrigante, ma il dolore mi blocca”. E poi, pensavo, che senso ha andare a farsi medicare al pronto soccorso per una semplice scopata? Lei, comunque, era veramente simpatica, aveva una grande carica vitale, e rideva spesso e di tutto. Rientrata in patria continuò per anni a mandarmi gli inviti delle mostre che organizzava nella sua galleria. A volte una breve relazione estiva ti lascia molto di più di una relazione lunga e impegnativa.

sabato 16 marzo 2013

In viaggio in Venezuela! Nell'acquarello "fiume amazzonico".


Dopo Chici, andammo a Canaima, nella foresta amazzonica.
Eravamo un gruppo eterogeneo e bizzarro. C’era Sandy, una cinquantenne americana che tra rapide, serpenti, piogge e liane rideva come se stesse partecipando a un film di Indiana Jones. Ma dopo due notti trascorse a dormire sull’amaca e a combattere con le zanzare, non rideva più tanto. Poi c’era Rosa, una venezuelana, anche lei sui cinquanta, molto simpatica ma con il vizio di fare la madre; un giovane medico omosessuale di Teramo, che continuava a farmi la corte; una ex-anoressica Svizzera, che non diceva una parola e meditava continuamente se tornare insieme con il suo ex, da cui temeva l’ennesima delusione.
La piroga era guidata da Marcelo, che aveva un fisico da culturista, un coltello da marines americano, e ci provava con tutte le donne dai 20 ai 65 anni, sostenendo che “un bucos es un bucos”. Guidava sulle rapide come se il Rio Carrao fosse un placido fiume, cosa che assolutamente non era.
La notte dormivamo, o meglio tentavamo di dormire, in amaca. Per dormire in amaca ci vuole un allenamento e una competenza particolari, che acquisii solo in parte dopo 3 - 4 giorni ascoltando i consigli di Marcelo. Infatti, se ci si mette distesi secondo la lunghezza dell’amaca, la testa e i piedi stanno inevitabilmente più in alto ed è impossibile rilassarsi e dormire. Se, invece, ci si posiziona in diagonale e si spinge con i piedi per stendere l’amaca, alla fine si riesce a stare distesi orizzontali e, anche se non ci si può girare, è comunque più comoda della posizione a parentesi tonda.
Una sera, nel luogo dove eravamo accampati, fummo raggiunti da un altro piccolo gruppo guidato da Mary, una ragazza venezuelana dalle mani forti ed espressive. Durante la cena Mary era accanto a me e mi parlava spesso, guardandomi intensamente e giocando con le sua mani. Dopo un’ora ero già innamorato. Era molto carina con i suoi tratti indios ma, a parte le mie palpitazioni non accadde nulla. Riuscii però ad avere il suo indirizzo e, tornato in Italia, volevo scriverle per chiederle di sposarmi. Rinunciai mio malgrado perché, non solo non mi avrebbe impalmato, ma sicuramente mi avrebbe preso per matto.

giovedì 14 marzo 2013

Sulla passione e sull'amore......, la fede per il momento ve la risparmio!


Quella con Beatrice, anche se agli sgoccioli, era stata la prima relazione importante della mia vita e mi aveva necessariamente spinto a confrontarmi con temi importanti come la passione, l’amore e anche la fede. Temi che, in quel periodo, erano accomunati dall’impossibilità di viverli, e si agitavano nella mia coscienza generando contraddizioni difficili da maneggiare, e secchiate di sensi di colpa.
Provo a riassumere sinteticamente quello che ero riuscito a capire.
Iniziamo con la passione: condizione travolgente e chimerica in cui “l’oggetto” è trasformato dalla nostra fantasia in tutto ciò che desideriamo. Per questo è senza dubbio una condizione che ci aiuta ad andare oltre, a superare dubbi e paure. Come diceva G. Byron “La passione è l’elemento di cui viviamo, senza di essa vegetiamo”, il che mi portava a concludere che sino a ora io avessi vegetato.
I problemi con la passione iniziano quando la fantasia comincia a lasciare il posto alla realtà: l’oggetto assume caratteristiche più concrete e più sue, e la passione perde la sua straordinarietà. Ma come si fa a trasformarla in amore, che richiede di riconoscere l’altro, capirlo, rispettarlo e appoggiarlo?
L’idea di Byron su questo è molto chiara “L’amore è una fatica spaventosa, e ostacola ogni progetto di bene o di gloria che un uomo possa fare”.
Penso che, secondo lui, passione e amore sono gli estremi di una dicotomia che spesso le persone confondono, ritenendo la passione l’unico segno certo dell’amore. Per questo  cercano di estorcere alle relazioni ciò che non possono dare, con risultati distruttivi se non catastrofici.
In ogni caso, anche riflettendoci molto, la mia conclusione in quel momento era sempre la stessa: la passione mi spaventava e per l’amore non ero pronto. Sarò stato pure un vegetale o un piccolo pollo disimpegnato, ma per ora non c’erano altre possibilità.

Link per il Don Juan di G. Byron
http://books.google.it/books?id=Frs-AAAAYAAJ&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0

lunedì 11 marzo 2013

Vi ricordate l'era delle curette ricostituenti? A casa mia le siringhe erano a bollire con la stessa frequenza dell'acqua per la pasta!


Per fortuna la cinese non mi colpì. Da quando vivevo a Roma ero riuscito a sottrarmi alle vaccinazioni anti-influenzali che Teresa mi imponeva ogni anno e l’influenza la prendevo molto più raramente.
Quando eravamo bambini, mia madre, che ci considerava tutti fisicamente un po’ deboli, ci sottoponeva regolarmente a tutte le vaccinazioni disponibili e a frequenti “curette ricostituenti”, allora molto di moda.
Il nostro medico di famiglia, che conosceva bene Teresa, quando veniva a casa a visitarci, per prima cosa le chiedeva: “Allora, dottoressa, di cosa pensa che abbiano bisogno i suoi figli in questo periodo?”
E mia madre, riferendo i segni che vedeva in noi, prescriveva senza remore: un estratto di corteccia surrenale per me, che sembravo un po’ stanco; un ciclo di Epargriseovit per Mario, che aveva un colorito poco convincente; un polivitaminico per Camilla, che cresceva poco; e per Patti, che in quel periodo era molto distratta, del disgustoso olio di fegato di merluzzo.
Il Dr. Giuffrida compilava senza scomporsi la ricetta stabilita da mia madre, e solo dopo aggiungeva i farmaci realmente necessari.
Non credo che queste “curette” ricostituenti ci abbiano cambiato granché sul piano fisico, ma su quello psicologico è facile intuire quanto possano averci fatto sentire deboli e malaticci.
Forse era per questo che, adesso che non mi vaccinavo più, stavo decisamente meglio. Da bambino, invece, mi ammalavo più o meno ogni quindici giorni. Mi venivano febbricole, tossi e raffreddori vari, che iniziavano il venerdì e terminavano la domenica sera. Avendo uno spiccato senso del dovere, mi ammalavo solo il fine settimana, e il lunedì tornavo regolarmente a scuola.

venerdì 8 marzo 2013

Per l'8 Marzo! Dai Ringraziamenti del libro.


Ringrazio anzitutto il pollo strapazzato che é in noi e che ha bisogno di essere trattato con benevolenza e affetto, anche se in questi tempi di efficienza e impegno non c’è molto spazio per lui.
Se è vero che dietro ogni (grande?) uomo c’è una grande donna, ed è vero, anche se l’uomo in questione non è grande, questa è mia moglie che ha avuto l’onere di sopportarmi per una vita, continuando senza stancarsi a prepararmi delle cene migliori di quelle della maggior parte dei ristoranti in cui sono stato. Spero che adesso lo abbia capito.
Ringrazio il nostro cane Zoe, che non mi spiego come faccia a capire tutto quello che penso, il che è un bene perché non devo spiegarglielo. E che nonostante tutto quello che capisce, continua a saltarmi addosso cercando di leccarmi affettuosamente, anche se io mi giro dall’altro lato per via dell’alitosi.
Ringrazio con un unico abbraccio tutte le persone che mi vogliono bene e quelle a cui voglio bene, anche se non sono più accanto a me.
Ringrazio Luisa per il suo prezioso aiuto nella revisione di questo scritto.
Infine, con convinzione, ringrazio tutte le donne che hanno partecipato alla mia vita, perché senza di loro mi sarei annoiato mortalmente.



giovedì 7 marzo 2013

Il pezzo sui single! (Svendita!! Il libro a soli 13 euri e l'ebook a 4,99! Su ilmiolibro.it)


In quel periodo mi concentravo sul problema dell’essere single e pensavo infastidito: “Per quale ragione un single deve necessariamente, essere considerato uno sfigato? Certo se non lo è per scelta posso capirlo, ma se lo sceglie? Qualcuno potrebbe obiettare che è una scelta al ribasso. Può darsi, ma essere single non significa che sei solo, semplicemente scegli di non vivere in coppia”.
La gente di un uomo che vive da solo pensava cose poco carine, tipo:
“Probabilmente è impotente. Per questo è solo!”
“Sicuramente è gay, e non vuole farlo vedere.”
“Certamente ha grossi problemi, se no si sarebbe già sposato!”
E non parliamo di come veniva considerata una donna single, altro che sfigata!.
Io mi arrabbiavo: “Se una persona non si sposa, come l’80% della popolazione, deve avere per forza qualche problema? E che dire dell’80% delle persone sposate che vivono insoddisfatte cornificandosi a vicenda? Loro problemi non ne hanno, solo per il fatto che hanno una moglie e, probabilmente, anche dei figli?
Non è meglio vivere le relazioni affettive fino a che reggono, e interromperle quando arrivano alla loro conclusione, senza fare promesse che poi non ti senti più di mantenere, e spesso neanche di rompere: perché ti dispiace, perché l’altro soffre, perché hai paura di restare da solo, o perché ci sono i bambini e per loro sarebbe un trauma? “
Allora mi domandai: cosa caratterizza un single? Questa parola inglese risulta intraducibile in Italiano, perché non abbiamo alcuna parola che veicoli tutti i significati espressi da questo termine. Il mio vocabolario di inglese mi diede una mano. Il significato più generale del termine era: Singolo, Unico, Solo..  e questa non era una grande novità, anche se lasciava spazio a molte fantasie. Poi, voleva anche dire: Celibe e Scapolo. E qui avevo già da ridire, perché erano termini maschili, e i single non erano soltanto maschi. Certo, era bizzarro che nell’idea comune il single fosse un uomo. Forse si pensava che l’uomo potenzialmente poteva scegliere di esserlo, mentre la donna poteva solo subire questa condizione? Questi termini, inoltre, indicavano semplicemente che una persona non era sposata, in definitiva era mancante di questa prerogativa fondamentale. Single, dunque, era l’assenza di uno status, un vuoto? Poi trovai che in associazione a soul (anima) significava che non conosce anima viva. Stavo per demoralizzarmi: “In sintesi, un single è solo, sfigato e non conosce nessuno!”.
Ma andando oltre cominciarono le sorprese, e il discorso diventò più interessante. Scoprii che single significava anche: Sincero, Onesto, Leale. Ecco! Finalmente iniziava la rivalsa del single che, non dovendo fare i conti con il partner e con tutti i compromessi della coppia, poteva, potenzialmente, essere più sincero, onesto e leale. Chiaramente non era scontato che lo fosse, ma di sicuro aveva più possibilità.
E alla fine trovai la consacrazione del single: Deciso, Saldo, Sicuro!
“E vai!” dissi a me stesso, “Lo sapevo di non essere uno sfigato! E poi, è vero: se da single riesci ad avere un buon equilibrio, puoi essere più sicuro, puoi scegliere senza farti condizionare dall’altro pur tenendone conto e questo ti permetterà di decidere e mantenere salde le tue idee…o, se lo ritieni più opportuno, cambiarle. Finalmente, diventerai tu, singolo, l’artefice attivo del tuo destino personale!”.
Ci sono anche altre ragioni per considerare i single dei piccoli eroi del nostro tempo. Per esempio, se lo sono sino in fondo, non metteranno al mondo figli e, quindi, non contribuiranno alla sovrappopolazione e all’esaurimento delle scorte energetiche e alimentari. Già solo per questo meriterebbero un monumento! Eppure avete mai visto un monumento dedicato ai single? Ce  ne sono alle madri, ai padri, ai figli, alla famiglia, ma ai single non ne ho mai visto neanche uno. A parte il milite ignoto che, poveraccio, lo è stato suo malgrado, perché è morto giovane facendo una guerra in cui forse neanche credeva.

martedì 5 marzo 2013

Il "Samadhi di Prajina"..non è per noi occidentali!



Ero in un momento di confusione, mi sembrava di nuotare in un mare agitato e freddo, senza vedere la riva e senza sapere dove mi stavo dirigendo.
L’immobilità mi sembrava l’unica soluzione filosoficamente sensata: anche le divinità venivano descritte come immobili e immutabili, e queste qualità le rendevano forti e probabilmente molto tranquille.
Cercavo la soluzione negli insegnamenti Zen, tentando di raggiungere il “Samadhi di Prajna”, cioè uno stato in cui: “invece di tentare di purificare o vuotare le mente, la si deve lasciare libera giacché la mente non è cosa da afferrare. Lasciar libera la mente equivale anche a dar libero corso a pensieri e impressioni che vengono e vanno nella mente stessa senza reprimerli, trattenerli o interferirvi “.
Questa pratica era definita del “non - pensiero”, e mi aveva subito affascinato, anche se continuava a sfuggirmi il senso di questa complicata contraddizione.
Infatti, mentre lasciavo fluire il mio scomposto pensiero, inevitabilmente questo articolava dei programmi, e io iniziavo subito a star male pensando a tutto quello che avrei dovuto fare; stavo poi malissimo se cercavo di farlo, e peggio se non lo facevo. Nessun insegnamento Zen o di altro tipo era utile, ma mi consolava il fatto che era soltanto due mesi che mi esercitavo ad applicarli e forse, andando avanti, le cose sarebbero cambiate. E in effetti cambiarono.
I libri Zen trovarono riposo sul più alto degli scaffali, e il “non– pensiero” raggiunse la sua massima espressione quando effettivamente non ci pensai più.

sabato 2 marzo 2013

Una parte della mia vita.......che rimane per sempre nella memoria e nel cuore! (Dal libro)


Filippo morì una mattina di ottobre all’età di ottantadue anni. Già da un paio di anni non stava molto bene, e non tollerava più di non riuscire a raccogliere da solo i fichi del suo albero. I limiti che gli imponevano la sua età e la sua condizione, lo costringevano a un modo di esistere per lui insopportabile, a quel punto il suo corpo aveva deciso di lasciare perdere, non valeva più la pena continuare.
Noi eravamo tutti lì, oltre che tristi, anche un po’ attoniti. Può sembrare bizzarro, ma non eravamo ancora pronti a non avere più bisogno della sua presenza, anche se sapevamo da tempo, che non poteva più aiutarci concretamente…………………
…………………………………….
Filippo era proprietario di alcuni agrumeti. Tutte le mansioni che i terreni richiedevano le svolgeva il suo fattore, che viveva in campagna badando anche ai suoi cani e portandoli a caccia per tenerli allenati.
Questo personaggio della mitologia della mia infanzia si chiamava Pollara. Non so granché della sua vita, ma quando noi bambini andavamo in campagna, lui era sempre lì con i suoi capelli bianchi, la faccia cotta dal sole, con la sua espressione di assoluta bontà e fedeltà. Ci offriva pane di casa e olive schiacciate con le sue mani forti deformate dall’artrite.
Quando Pollara era ormai molto anziano e malato, non potendo vivere più in campagna, venne a stare per qualche tempo nella nostra casa al mare, dove mio padre fece sistemare il garage per ospitarlo. Viveva li con il suo cane, una spinona mezza meticcia che si chiamava Rosa, con cui si capivano guardandosi negli occhi per qualche istante.
Appena arrivavamo, la domenica, io correvo subito da Pollara e gli chiedevo se potevo portare Rosa in giro con me. Pollara faceva un cenno con la testa a Rosa e lei, che sonnecchiava a terra accanto a lui, si alzava lentamente e mi seguiva seria. Rosa era quasi più grande di me, mi ricordo che io l’abbracciavo circondandole il collo con un solo braccio e non arrivavo neanche a chiudere il cerchio e toccarmi il fianco. Non so chi tra noi due guidasse la passeggiata, ma io mi sentivo grande e forte, mentre lei, con attenzione e pazienza cercava di capire e fare quello che le chiedevo.
Durante una di queste uscite, Rosa incontrò un gatto. Si scrutarono un istante, sia lei che il gatto avevano il pelo dritto sulla schiena. Poi, all’improvviso, partirono all’attacco e si azzuffarono. Il gatto ebbe la meglio e fece dei profondi graffi sul naso di Rosa. Piangendo, riportai Rosa sanguinante a Pollara e lui, con il suo tranquillizzante sorriso, la accarezzò e mi disse: “Osmio, veni c’à! Chi c’è da chianciri pì stà fissaria!” 1
Poi, tamponando il naso di Rosa con un fazzoletto le disse: 
“Rosa comu ti l’haiu a diri di lassari stari i iatti. Si nà smetti, quacchi ghionno ti piagghiano n’occhio, e poi viri comu cià finisci!” 2
Da quel giorno non portai più in giro Rosa: non potevo tollerare l’idea che, mentre era con me, un gatto l’attaccasse e le accecasse un occhio, senza che io riuscissi a difenderla, come mio Padre aveva fatto con Pollara, ormai anziano e malato.
Ma quello che più mi ricordava mio Padre, era una frase che aveva ripetuto centinaia di volte in famiglia, quando qualcosa non gli stava bene:  “Guardate che, se mi stufo, l’anno prossimo vendo tutto e me ne vado alle Ovaie (che sarebbero le Hawaii). E poi buonanotte ai suonatori!”.
Quando diceva questa frase non era veramente arrabbiato. Più che una minaccia era una battuta, che aveva solo il senso che nella sua mente si riservava l’illusione di poter andare, un giorno, in un luogo ideale.

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1  “Osmio, vieni qui! Cosa c’è da piangere per questa stupidaggine!”

2   “ Rosa come te lo devo dire di lasciare stare i gatti. Se non la smetti, qualche
       giorno ti graffiano in un occhio, e poi vedrai come la finisci.”