martedì 5 marzo 2013

Il "Samadhi di Prajina"..non è per noi occidentali!



Ero in un momento di confusione, mi sembrava di nuotare in un mare agitato e freddo, senza vedere la riva e senza sapere dove mi stavo dirigendo.
L’immobilità mi sembrava l’unica soluzione filosoficamente sensata: anche le divinità venivano descritte come immobili e immutabili, e queste qualità le rendevano forti e probabilmente molto tranquille.
Cercavo la soluzione negli insegnamenti Zen, tentando di raggiungere il “Samadhi di Prajna”, cioè uno stato in cui: “invece di tentare di purificare o vuotare le mente, la si deve lasciare libera giacché la mente non è cosa da afferrare. Lasciar libera la mente equivale anche a dar libero corso a pensieri e impressioni che vengono e vanno nella mente stessa senza reprimerli, trattenerli o interferirvi “.
Questa pratica era definita del “non - pensiero”, e mi aveva subito affascinato, anche se continuava a sfuggirmi il senso di questa complicata contraddizione.
Infatti, mentre lasciavo fluire il mio scomposto pensiero, inevitabilmente questo articolava dei programmi, e io iniziavo subito a star male pensando a tutto quello che avrei dovuto fare; stavo poi malissimo se cercavo di farlo, e peggio se non lo facevo. Nessun insegnamento Zen o di altro tipo era utile, ma mi consolava il fatto che era soltanto due mesi che mi esercitavo ad applicarli e forse, andando avanti, le cose sarebbero cambiate. E in effetti cambiarono.
I libri Zen trovarono riposo sul più alto degli scaffali, e il “non– pensiero” raggiunse la sua massima espressione quando effettivamente non ci pensai più.

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