sabato 15 giugno 2013

Vacanze in montagna.

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I miei ritmi subivano un brusco cambiamento quando andavo in vacanza. Quell’inverno, dominato dal chiodo persistente della rottura con Beatrice, decisi di andare a sciare con mio fratello Mario e con il mio amico Claudio.
Tutti e tre eravamo accomunati da più o meno gravi “problemi di coppia”: ci sentivamo traditi ed eravamo decisi a lasciare le nostre fidanzate, ma nessuno di noi era riuscito ancora a farlo veramente. Le problematiche della separazione ci univano, ma facevamo finta di non subirne particolari conseguenze e tra noi non ne parlavamo mai, sperando così di dimenticarle e superarle.
Le nostre giornate erano dominate dall’iperattività fisica, con una spiccata ipoattività delle funzioni corticali superiori. Sciavamo sino a quando ci impedivano di continuare a utilizzare gli impianti di risalita.
Tornati al  residence, mangiavamo a orari alpini, quindi dormivamo un paio d’ore, per il rito che Claudio definiva “il riposino del viveur”. Il momento centrale della giornata si svolgeva dalle 22 in poi in discoteca. Lo ski-pass era molto economico paragonato alla spesa delle consumazioni serali: io ingerivo non meno di 5/7 bicchieri di vodka, Claudio e Mario prediligevano il rhum e coca, ma Claudio riusciva a contenerne un massimo di 8/9, mentre mio fratello arrivava a 10/12 e anche più, senza che si rendesse necessario il ricovero.
Io e Claudio invitavamo a ballare il maggior numero possibile di ragazze, in modo corretto ma insopportabile, con l’intento di essere respinti. Al termine della serata conteggiavamo e risultava vincitore chi era stato respinto più volte. Era il nostro modo di vaccinarci e prepararci alle delusioni con le ragazze, o forse eravamo così mal ridotti dalle nostre precedenti esperienze, che non potevamo permetterci nulla di diverso dalla conferma delle nostre incapacità. In ogni caso, era un modo per trasformare una disgrazia in un colpo di fortuna.
Mario era diverso. Corteggiava una maestra di sci bionda e molto carina che aveva dieci anni più di lui, cercando di sedurla con i suoi modi divertenti e infantili, cosa che ovviamente non avrebbe potuto condurlo a nulla.
Dopo 2 giorni conosceva tutti in paese e guidava il nostro gruppo assumendo il ruolo di fratello maggiore. La notte ci riportava a casa e, se necessario, ci assisteva nei frequenti episodi di intolleranza gastrica post-alcolica. Seduto sul letto, continuando a parlare senza sosta, teneva la fronte a me che, steso a pancia in giù con la testa che sporgeva fuori, vomitavo in un secchio, controllava Claudio, steso nella stessa posizione, a cui per vomitare aveva attaccato un sacchetto di plastica del supermercato dietro le orecchie, che gli pendeva davanti come il sacco della biada ai cavalli, nel frattempo mangiava con appetito un piatto di spaghetti che si era cucinato durante i nauseanti preliminari.
Io dormivo con lui in un letto matrimoniale, mentre Claudio aveva un letto a una piazza e mezzo in un’altra stanza.
Mario era molto ospitale. Una sera rientrò più tardi, mentre io e Claudio dormivamo già, portando con sé due ragazze della riviera di ponente bisognose di un ricovero per la notte.
Verso le quattro di notte, svegliandomi assetato, mi ritrovai nel letto una sconosciuta che dormiva tra me e Mario.
Con gentilezza la svegliai e le dissi: “Scusami ma io non so chi sei, e non riesco assolutamente a dormire accanto a una persona che non conosco. Puoi metterti dall’altro lato di mio fratello per favore?”.
Credo che si offese per non essere stata accettata, ma si spostò ugualmente.
L’altra ragazza si sistemò nel letto con Claudio, troppo ubriaco per rendersi conto di quello che accadeva. Solo al mattino si accorse di aver passato la notte con una tizia bassina in camicia e pantaloncini, con i capelli neri e abbondanti peli, ugualmente neri, sulle gambe.
Durante la colazione Claudio mi confidò: “Mi era sembrato che qualcuno si strofinasse a me stanotte….ma credevo fosse un sogno. Pensa che figura di merda ho fatto: nel sogno ho avuto un’erezione!”.
La mattina, alle nove al massimo, eravamo sulle piste barcollanti e intontiti, ma Claudio sosteneva che le prime discese sarebbero state fantastiche, infatti, eravamo nelle condizioni ideali per fare le migliori curve della giornata, perché in quello stato venivano decisamente più rotonde.

sabato 1 giugno 2013

Ballo di famiglia......intorno alla MADRE!!


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http://reader.ilmiolibro.kataweb.it/v/904346/Un_uovo_strapazzato#

A parte qualche giorno in cui Patti andò a trovarla, Teresa (la madre) rimase da sola, cioè senza noi figli. In effetti non era per niente sola, lì al mare c’erano tutti gli amici di sempre. Aveva 75 anni ma era fisicamente a posto, avendo la solidità della Nonna Santina.
A settembre, però, decise che i suoi vuoti di memoria e le sue disattenzioni erano troppo gravi. Quell’estate era stata segnata dalla continua litania: “Non so cosa mi succede!...Non mi ricordo più niente!” I suoi amici la sopportavano benevolmente e, considerato come vinceva, giocando a carte con il solito accanimento, non erano particolarmente preoccupati. Ma Teresa era certa che fosse necessario fare dei controlli approfonditi, pensando che potesse essere un principio di Alzheimer.
Decise di andare con la zia Lucia in una casa di cura specialistica per la diagnosi e il trattamento della demenza per una settimana. Non so come fecero a farsi ricoverare in una struttura specialistica di quel tipo, perché, per essere ricoverata, qualche disturbo dovevi pur averlo. Non è che sappia molto sull’Alzheimer, ma se mia madre, che ragionava benissimo, lo aveva, allora metà della popolazione mondiale era a grave rischio. Comunque, visto che ognuno è libero di scegliere se andare una settimana in un centro benessere, oppure in un istituto per la diagnosi e la cura per la demenza, non dissi nulla e le diedi la mia benedizione.
Due giorni prima di partire Teresa mi chiamò per salutarmi e mi disse:
“Osmio ti chiamo oggi perché dopodomani mi ricovero, e domani sera andrò a letto presto. Sai, devo partire alle 5 e mezza…”.
“Perché dovete partire così presto? Con la macchina è soltanto un’ora di strada”.
E lei sorpresa: “Ma Osmio! Non andiamo in macchina! Dobbiamo prendere l’autobus!”
“Certo, hai ragione.”, riflettei, “ Che stupido che sono certe volte! Lo capisco che sarebbe piuttosto strano se due dementi arrivassero in un centro per la cura dell’Alzheimer in macchina da sole!”
“Si! Prendimi anche in giro! Guarda che io non sto bene e sono molto preoccupata, se no non mi sarei certo ricoverata. Ma voi (intendeva noi figli) di me non vi preoccupate, e io devo fare tutto da sola, dopo avervi dato tutto!”.
Ormai ero grande e non riuscivo più ad arrabbiarmi. Risposi pacato:
“Senti, fatti curare da chi vuoi e per quello che vuoi, per me fa lo stesso. Però, non capisco… cosa vuol dire che ci hai dato tutto?”
“Tutto significa, tutto quello che possedevo”.
“Teresa, hai ancora tutto tu! Non ci hai dato proprio niente, sei usufruttuaria di tutti i beni che ti sono rimasti. L’unica cosa che, per fortuna, non puoi più fare è venderli, così non corriamo il rischio di doverti anche mantenere un giorno”.
“Si, è come dici tu.” concluse Teresa, “Voi volete avere sempre ragione. E’ facile con una donna anziana e stanca...”.
Un pomeriggio, cinque giorni dopo che si era ricoverata, mi arrivò una telefonata.
“Buonasera”, disse una voce decisa, “sono la Dottoressa Trifolini e sto seguendo sua madre Teresa qui al Centro.  E’ lei che mi ha dato il suo numero.”
“Molto piacere”, risposi, cercando senza successo di immaginare cosa potesse volere, “In cosa posso esserle utile?” .
“Volevo metterla al corrente della situazione di sua madre. Abbiamo fatto tutti i controlli del caso: TAC, Risonanza Cerebrale, Doppler dei Vasi Carotidei, analisi cliniche, Test….e sono risultati tutti nella norma. Quindi, possiamo escludere che sua madre abbia al momento una demenza senile. Anzi, per la sua età sul piano cognitivo và meglio della media.”
Io, trattenendomi a stento dal ridere, le dissi: “Ah..bene! Le notizie che mi dà sono molto confortanti. In effetti eravamo un po’ preoccupati, ma la mamma è una persona molto solida.”
Pensavo che la comunicazione finisse lì, invece la Dottoressa aveva appena iniziato: “Si, sul piano fisico sta bene. Ma ho parlato a lungo con sua madre e credo che i suoi problemi siano legati a uno stato di forte ansia e depressione”.
“Ah! Uhm! Ok!... E cosa si può fare?”
“Guardi, sua madre è in questa condizione per diversi motivi. Anzitutto, è molto angosciata per sua sorella Patti, che si è separata ed è rimasta da sola. Sua madre è preoccupata per il suo futuro.” 
E io, dopo aver tossito per coprire un inizio di risata:  “Certo, capisco, ma le assicuro che Patti non se la cava così male..” .
“Poi non è riuscita a superare il distacco da sua sorella Camilla, che è andata a vivere all’estero, non si è sposata e non ha figli…Ma, soprattutto, è addolorata per il fatto che suo fratello Mario la tratta male, non si fida di lei, e le fa vedere raramente i bambini.” 
E ha ragione, pensavo io, se non facesse così si ritroverebbe Teresa in mezzo ai piedi tutti i giorni.
“Mi scusi, non voglio criticare suo fratello… ma questo è quello che vive sua madre, e che la fa soffrire.”
Ero senza parole, e nello stesso tempo sbalordito dall’abilità di Teresa nel manipolare anche gli esperti del campo, che avrebbero dovuto capire con chi avevano a che fare.
“So che lei vive fuori”, continuò la dottoressa,  “ma sua madre mi ha detto di rivolgermi a lei, perché pensa che potrebbe parlare con i suoi fratelli”.
Non sapevo cosa dire :  “Si, certo, capisco. Ma con chi e di cosa dovrei parlare?”, risposi apparentemente comprensivo, mentre cercavo di immaginare cosa avesse escogitato Teresa.
“Guardi, intanto abbiamo dato a sua madre una cura farmacologica che potrebbe aiutarla a stare meglio. Ma io sono specialista in Terapia Familiare e penso che, se non si sciolgono questi nodi, il problema si ripresenterà.”
Ripresenterà? Pensavo io: ma se è almeno cinquant’anni che si ripresenta e che ci conviviamo! “Mi scusi dottoressa, come lei ha detto, io vivo a Roma e quindi, anche se capisco, mi riuscirebbe molto difficile partecipare a una eventuale terapia di questo tipo. In che modo pensa che potrei esserle utile?” .
“Potrebbe parlare con sua sorella e con suo fratello, per spiegare la situazione e chiedere se sono disponibili per una terapia familiare, che potrebbe aiutare sua madre!”.
Ero strabiliato. Ma chi era questa dottoressa Trifolini? Una capra in camice bianco?
“Beh”, dissi, “la ringrazio per le informazioni, e vediamo cosa posso fare.”
Trascorsero diversi minuti prima che riuscissi a riprendermi. Altro che Alzheimer! Il cervello di mia madre funzionava benissimo: era anche riuscita a convincere la dottoressa a chiamare ancora una volta a raccolta i figli attorno a lei. Certo, il nobile fine era di tenere unita la famiglia, perché il rischio che qualcuno si allontanasse c’era sempre, quello meno nobile era il suo egocentrismo.
Chiamai subito Patti. “Mi ha chiamato una simpatica dottoressa del Centro dove è ricoverata Teresa, mi ha detto che tutti i controlli sono a posto e non ha l’Alzheimer!”.
“E quale è la notizia? Quella l’Alzheimer ce lo fa venire a noi!”.
“No aspetta…”, dissi io trattenendo le risate, “la notizia non è questa. Hanno capito che è un po’ depressa  perché è molto preoccupata per noi figli, e vorrebbero iniziare una terapia familiare con tutti i membri della famiglia disponibili, in pratica con te e con Mario. Che te ne pare?”.
A quel punto scoppiai a ridere.
“Quella è fuori di testa!”, disse seccata Patti. “Ma che, abbiamo tempo da perdere? Lei ha 75 anni, noi quasi 50, e che facciamo? Ci mettiamo a fare la psicoanalisi come se fossimo adolescenti? Non se ne parla neppure. Ora la chiamo e gliene dico quattro.”
“Lascia perdere la chiamo io. A Mario non telefono neppure, se no mi suona l’inno d’Italia a pernacchie, e poi mi sbatte il telefono in faccia”.
“Non lo chiamare, è meglio. Invece ricordati di mandarmi le ultime foto di Zoe. E pensiamo al futuro.”
Chiamai Teresa. Il tutto era decisamente divertente.
“Ciao Mamma come stai?”
“Mah, un po’ giù. Ti ha chiamato la dottoressa Trogolini o Trigliolini? Non mi ricordo mai come si chiama, ormai la memoria non mi assiste più.”
“Si, ho parlato con la dottoressa Trifolini. Mi ha detto che non sei demente, cosa su cui non avevo molti dubbi. Ma che cosa le hai raccontato? Come hai fatto a infinocchiarla sino al punto da farle proporre una psicoterapia familiare?”.
“Osmio, guarda che io le ho soltanto detto che ero preoccupata per voi, perché ancora non vi vedo sistemati e questo non mi fa stare tranquilla. Ho 75 anni e, almeno adesso, vorrei un po’ di tranquillità.” sospirò Teresa.
“Un po’ di tranquillità la dovresti dare a noi! E cosa  vuoi dire con sistemati? Nessuno è mai definitivamente sistemato, ma non mi sembra che la situazione necessiti di una psicoterapia familiare!”
“L’idea della pissicoterapia familiare è della dottoressa Trigolini, o come si chiama, non mia. Io sono solo preoccupata.”
“Comunque, tua o della dottoressa, scordatela! Non credo… anzi sono sicuro che Patti, e meno che mai Mario, parteciperebbero. Prenditi una manciata di pasticche, e stattene tranquilla. Mi raccomando, diglielo alla dottoressa.”
E lei, un po’ offesa: “Va bene, và bene, lasciamo perdere la pissicoterapia. Ma certo che voi, a vostra madre non la volete aiutare!”
“Mamma, si dice psicoterapia, e se tu la vuoi fare va benissimo, ma da sola, non con noi. E non ricominciare con la solita solfa dei figli ingrati. Ci sentiamo nei prossimi giorni.” e chiusi la telefonata.