giovedì 21 novembre 2013

FINALMENTE NATALE! Perché non regalarsi Un uovo strapazzato?

Il Natale rappresentava uno degli incontri “portuali” di maggiore rilievo e nonostante i continui appelli di Teresa che ribadiva il principio irrinunciabile “Dobbiamo volerci bene e aiutarci”, le bordate partivano da tutte le parti.
Anche Santina, la nostra nonna materna, tra un rumoroso risucchio della minestra e un altro, dovuti secondo lei alle dentiere difettose, una volta era stata coinvolta nella disputa. Ma lei non era abituata ai ritmi naturali della famiglia, e andò k.o. quasi subito. Mentre Camilla litigava con mia madre, la nonna osò intervenire. Mia sorella, senza alcun rispetto per la saggezza della terza età, si voltò verso di lei e le disse: “Tu stai zitta, pensa piuttosto a non lasciare quelle schifose dentiere dappertutto, perché un giorno o l’altro le butto nel water (in realtà disse cesso) e tiro la catena”.
Questo provocò l’uscita di scena della nonna, che si alzò da tavola e andò a chiudersi nella sua stanza a piangere.
Io ero particolarmente depresso e rabbioso in quel periodo, sentivo che la relazione con Beatrice stava sciogliendosi come un iceberg al largo della Patagonia, e quindi utilizzavo il Natale per sfogare con la famiglia il mio malumore.
Con un leggero mal di testa di fondo, tra un dolore al fianco destro e un sospetto borbottio intestinale, lanciavo continue provocazioni, sentendomi nello stesso tempo in colpa con i miei genitori.
“Volete spiegarmi perché continuiamo a fare queste pallosissime cene di Natale, dove nessuno ha voglia di partecipare?”.
“Osmio ha ragione” sostenne Camilla, “l’anno prossimo aboliamola, così eviteremo di massacrarci a vicenda  e sarà meglio per tutti”.
E Teresa, quasi in lacrime: “Patti, per favore, vai a chiamare tua nonna. E voi due smettetela di dire queste assurdità. Il Natale è una bellissima festa, è la nascita di Gesù e và rispettata”.
“Si, col piffero…”, ribadii io, “finché eravamo bambini poteva avere un senso, ma ormai è diventato solo un inutile rituale”. E continuai su questo piano senza risparmiare niente e nessuno.
Poi arrivò il momento dei regali. Mia madre, con l’equità che la caratterizzava, regalò un giaccone di montone a Patti, un ombrello (oggetto che non usavo mai) a me, un portacravatte per l’armadio a Mario e una cintura di cotone a Camilla, suscitando un vero vespaio.
Mario la prese con sarcasmo: “Teresa, che meraviglioso regalo! Quanto lo hai pagato questo portacravatte? 500.000 mila lire, come il montone di Patti? E si, sarà costato caro… è doppio, e può contenere ben due file di cravatte!”.
“Guardate che il montone a Patti lo dovevo comprare comunque, ed è solo un caso che glielo dia per Natale” si difese mia madre.
“Si, come no”, intervenne Camilla lanciando la sua cintura nel cestino della carta, “la prossima volta risparmiati i soldi del mio regalo, è meglio!”.
Io nel frattempo avevo aperto l’ombrello e cantavo e ballavo “Singing in the Rain” in salotto, suscitando le preoccupazioni di Teresa e Filippo che erano piuttosto superstiziosi.
“Osmio, smettila e chiudi quell’ombrello! Lo sai che porta male aprirlo in casa”.
Facendo finta di non aver sentito, evitai di rispondere, tanto era tempo perso.