domenica 4 ottobre 2015

L’IMPAVIDO GATTO ERMOND - Una storia estiva -



Ermond è un gattino di 4/5 mesi bianco e nero, magro e lungo con un carattere indipendente. Anche se ha un nome maschile è una femmina (ma qui se ne parlerà sempre al maschile) e deve il suo nome al fatto che è stato trovato mentre zompettava e ravanava nello spazzatura, e poiché il nome che era stato deciso di dargli “Ermondezza” era troppo lungo, venne abbreviato in Ermond.
La sua nuova padrona dopo qualche settimana aveva deciso che non poteva vivere con Ermond perché era disobbediente e non si avvicinava quando lo chiamava. Ma Ermond era abituato a una vita autonoma e, pur grato alla sua prima padrona, faceva solo quello che gli passava per la testa.
Ermond venne allora affidato a un’amica della padrona che impietosita decise di trovargli una nuova sistemazione, nessuno se la sentiva di abbandonarlo lasciandolo di nuovo sperso a ravanare nelle spazzature del mondo.
Così Ermon partì in macchina con l’amica, che pur soffrendo di allergia ai gatti e rischiando una crisi di soffocamento, lo portò con lei, meta intermedia la casa al mare. Appena arrivato l’impavido Ermond schizzò fuori dallo sportello della macchina e sparì tra i rovi, le canne e le serre di pomodorino. A nulla valsero i continui richiami: “Ermond, Ermond…piccolina, tesoro……Ermond dove c…. sei finito?? Ci mancavi solo tu a farmi venire l’angoscia!”, che risuonarono tra le serre tutto il giorno.
All’imbrunire una macchia bianca e nera si avvicinò lentamente, era Ermond, che stanco di cacciare lucertole e scarafaggi puntò il piatto pieno di bocconcini di manzo e coniglio Kite Kat e nel giro di qualche minuto ne fece fuori metà. Solo con la pancia piena Ermond si fece prendere e chiudere a casa dove, dopo essersi rifatta le unghie su un materasso, si addormentò quasi subito.
L’indomani Ermond venne messo in macchina per essere trasferito chissà dove, ma lui era un avventuriero e non si preoccupava del futuro, e iniziò a esplorare la macchina che percorreva strade ignote. Ermond curioso si arrampicò sul poggiatesta del lato guidatore e mettendo la zampa sulla testa della salvatrice cercò di saltare sul cruscotto. Ma la testa era instabile ed Ermond optò per saltare sul più solido poggiatesta del lato passeggero. Durante le diverse soste del viaggio Ermond tentò di uscire in ogni modo, se non altro per motivi fisiologici, ma temendo che decidesse di fare un giro nei cassonetti dei dintorni, l’amica della padrona lo lasciò sempre chiuso in macchina.
Ma a tutto c’è un limite, e per impellenza, o forse anche per protesta alla fine Ermond la fece sul sedile del lato guidatore.
Al termine del suo peregrinare Ermond venne lasciato nella casa del mare della madre della salvatrice, donna che aveva sempre inviso i gatti, animali scorbutici e poco inclini a farsi comandare.
“Certo,” sosteneva l’anziana donna ,“gli animali sono carini, soprattutto quando sono piccoli….., ma scappano continuamente, fanno la cacca (per loro fortuna se no avrebbero un’occlusione intestinale)…….e poi bisogna puliree..!! Insomma non è che si può fare, io ho molto da fare!”.
“E poi, questa che l’ha trovato, ora non lo vuole più? Così non è neanche giusto!!”.
Con le sue frasi interrotte ed elusive voleva soltanto dire che un gatto tra i piedi non lo voleva, e che era la proprietaria a doverselo riprendere.
E così alla fine Ermond si è ruppe le palle di tutti quei padroni possessivi, angosciati o espulsivi, e dopo qualche giorno si allontanò e da allora non si ebbero più sue notizie. Tutti quelli che hanno conosciuto e amato Ermond sperano che abbia finalmente trovato un nuovo padrone/a disposto a tollerare il suo carattere impavido e indipendente.


lunedì 6 aprile 2015

SPENDING REVIEW

La spesa della famiglia negli ultimi anni era decisamente aumentata e il rapporto Deficit/Pil si era sbilanciato verso il Deficit, gli introiti restavano uguali (o si riducevano) e i costi aumentavano, anche se convincere moglie e figli che avevano minori disponibilità era un’impresa difficile. Avrei pure provato come fanno tutti i governanti a emettere dei BTF (Buoni del Tesoro Familiari), ma visto che non era possibile almeno non avevo il problema dello Spread!
Visto l’andamento dell’economia familiare avevo deciso che bisognava brutalmente effettuare la arcinota e moderna Spending Review, in altri tempi detta si tira la cinghia…. e si contrattano o non si pagano  i debiti.
Quindi, il condominio non lo pago è troppo costoso, mi faranno causa, ma ci vorranno anni prima che vedano i soldi. Con il dentista rivedo il prezzo , e se non gli sta bene la metà si attacca! Luce, gas e acqua li devo pagare se no me li staccano. La cameriera costa troppo, da domani le dimezzo lo stipendio. Devo fare più soldi....! La parcella da domani aumenta del 20%, anzi il 20 è poco facciamo il 40%! Gli argenti di casa verranno dimezzati e  la metà verrà venduto a peso. Tutti gli oggetti, attrezzature, mobili etc. che non sono più utilizzati verranno portati al mercatino e venduti, tanto stanno lì a prendere polvere e così facciamo anche spazio a casa.
Taglio le spese inutili: dovendo eliminare almeno un dipendente su dieci, elimino la moglie e mi tengo il cane che non ha bisogno del parrucchiere! Le piante nel terrazzo morissero pure, la fisioterapista incapace non la pago, per i vestiti vanno bene quelli degli anni scorsi, scarpe e altri accessori per i prossimi due anni userò quelli che ho, forse comprerò 1 o 2 camice (in saldo) perché alcune sono talmente usurate che prima o poi dovrò buttarle.  Mangerò prevalentemente pasta e patate, pesce e carne verranno razionati. Non comprerò più fiori per casa perché costano, durano poco e possiamo fare a meno di avere questo inutile orpello. La macchina incidentata me la tengo così senza sistemare la carrozzeria, l’importante è che cammini. Fino a quando non mi fermano e mi multano per i copertoni consumati non cambio neanche quelli, l’importante è andare piano con la pioggia.

I regali agli amici per compleanni, matrimoni etc. sono posticipati al triennio 2016-2018 quando saranno ripristinati gli appositi fondi. La palestra è abolita fino a nuovo ordine, ci sono tanti marciapiedi e piste ciclabili dove è possibile correre o andare in bicicletta gratis.

lunedì 1 dicembre 2014

Riflessioni di mezza età..

Era passato più di un anno da quando era finita la storia con Claudia, ero diventato Professore Associato, e volevo fermarmi lì: andare oltre mi avrebbe imposto compiti e impegni non scientifici che non mi interessavano.
Mario aveva avuto il terzo figlio, e aveva molti capelli bianchi e molti capelli in meno, ma era sempre iperattivo e ottimista. Comunque, per il momento aveva avuto ragione lui: era l’unico ad aver accresciuto l’albero genealogico della famiglia. Ognuno ha i propri modi di affrontare il problema della fine, lui lo faceva ricostruendo la genealogia familiare sino alla terza o quarta generazione precedente. E visto che non avevamo illustri predecessori, penso lo facesse soltanto per consolidare l’idea di far parte di un processo che poteva non avere una fine, insomma, era un tentativo di superare il suo essere mortale.
La vita scorreva abbastanza tranquilla, tuttavia il tempo passava troppo velocemente e, guardandomi indietro, anche se avevo fatto parecchie cose, mi sembrava che tutta la mia esistenza fosse durata pochi attimi. Per modificare questa fastidiosa impressione, spostavo la memoria su periodi ben definiti di cui cercavo di ricordarmi il maggior numero di particolari, nel tentativo di riuscire a dare al tempo un senso di durata più lungo......
Ero anche entrato a far parte di quel 1-2 % della popolazione IRPEF di più alto reddito, ma mi domandavo come mai non potessi comprarmi una casa, né una barca, né altri generi di conforto che molti ricchi possedevano. Doveva esserci qualcosa che non quadrava nella nostra ineguagliabile e furbesca nazione.
Dopo vari tentativi, avevo anche trovato una donna di servizio, o più correttamente una collaboratrice domestica, adatta alla mia condizione di single. Era una donna di 55 anni mai sposata, molto seria e precisa, che con il piglio di un ufficiale delle SS aveva preso il controllo della mia casa e la mandava avanti meglio di me, cercando di anticipare le mie necessità. Mi ricordava po’Adelina di Montalbano, anche se cucinava meno bene.

domenica 6 luglio 2014

La Nonna Santina.......il perno della famiglia!

Un mese dopo, la Nonna Santina ci lasciò. Non credo che le nozze di Patti abbiano avuto un ruolo nella sua dipartita, ma non posso escluderlo, viste le difficoltà con cui alcuni membri della mia famiglia affrontavano il problema della perdita. Comunque, aveva seri problemi cardiaci, ebbe una broncopolmonite e, almeno, non soffrì a lungo.
La Nonna Santina merita, a questo punto, una breve digressione perché è stata uno dei pilastri portanti della nostra famiglia. Era nata nei primi del 900 e aveva un fratello più grande, lo zio Pierino, ma era lei la figlia con i pantaloni. Era una donna attiva e caparbia, con qualcosa di romanticamente confusionario e, quando si metteva in testa una cosa, era difficile farle cambiare idea. Fu così quando si innamorò e decise di sposarsi con il nonno Pippo, contro la volontà dei genitori e dei parenti in genere. I familiari della nonna non volevano che lo sposasse, perché su Pippo in paese giravano voci infamanti. Pippo era andato nel Nord Italia da giovane, e lì gestiva il commercio di agrumi per conto della sua famiglia. Si diceva che facesse una vita allegra e dispendiosa, e che avesse contratto una malattia da contagio sessuale. Queste voci, in un paese della Sicilia, erano più che sufficienti per rovinarti la reputazione. Ma la nonna Santina era sicura del suo amore e, contro il volere di tutti, partì per il Nord rimanendo con lui qualche tempo. Fece cioè quella che in Sicilia viene chiamata “una fuitina”. In questo modo mise con le spalle al muro i miei bisnonni che, per non rimanere con una figlia svergognata, accettarono Pippo e acconsentirono al matrimonio.
La loro fu una vita piena e la nonna diceva che non si pentì mai di questa scelta, anche se Pippo era spesso al Nord per lavoro. Erano più che benestanti, avevano un intero palazzotto di due piani che al primo aveva più di venti stanze (alcune le scoprii soltanto quando ero già adolescente). Dopo 4 femmine finalmente arrivò il tanto atteso maschio, e lì si fermarono. Teresa era la primogenita. Posso immaginare quali problematiche potessero esserci in famiglia per quell’esubero di donne; la nonna cercava di tenerle a bada, ma era troppo buona e un po’ confusionaria e le mie zie stavano con due piedi in una scarpa solo quando c’era il nonno Pippo di cui avevano timore, e col quale avevano limitati rapporti affettivi. Mio zio Agatino, essendo il più piccolo, riuscì a salvarsi in quel gineceo perché era coccolato da tutte le sorelle. Insomma era una famiglia matriarcale dove, dato l’eccesso di presenze femminili e la limitata possibilità di dare affetto a tutti in modo equilibrato, la situazione lì dentro assomigliava a quella di un pollaio dove imperavano le galline, beccandosi vicendevolmente ma mantenendo integra l’unità familiare.
I temi della famiglia unita, della beccata mascherata da gesto affettuoso, del tentativo di controllare il pollaio con ogni tipo di manovra, vennero affinati lì ben prima che io nascessi.
Il nonno lo conobbi appena e già in una fase avanzata della malattia cerebrale che lo aveva colpito ancora piuttosto giovane: non riconosceva nessuno e non riusciva più neanche a parlare. Quando mi vedeva lanciava un lungo urlo, che a me faceva una paura tremenda, ma che mia nonna Santina interpretava come un segnale di riconoscimento e di affetto.
Dopo la sua morte lo zio Agatino, anche se molto giovane, prese il comando della famiglia, come voleva la tradizione. E questa fu la sua seconda ancora di salvezza: riuscì a passare indenne dal ruolo di fratello minore coccolato a quello di capofamiglia, senza che ci fosse il tempo di preparare lotte intestine. Queste cominciarono pesantemente solo molti anni dopo, quando tutti erano grandi, sistemati e scontenti per la iniqua divisione del patrimonio.
Tutti volevamo bene alla nonna Santina, in particolare noi nipoti, perché era una vera Nonna, e il suo funerale, dove ci rincontrammo in molti, fu più gioioso e affettivamente vero di molti noiosi matrimoni. Eravamo tutti commossi e ci sentivamo vicini, ma quella che sorprendentemente piangeva come un vitello era Camilla, che alla nonna Santina era molto legata e che, in silenzio, l’aveva accudita più di altri quando stava male.


domenica 18 maggio 2014

DIVENTARE ADULTI (..anche se non vorresti!)

Filippo morì una mattina di ottobre all’età di ottantadue anni. Già da un paio di anni non stava molto bene, e non tollerava più di non riuscire a raccogliere da solo i fichi del suo albero. I limiti che gli imponevano la sua età e la sua condizione, lo costringevano a un modo di esistere per lui insopportabile, a quel punto il suo corpo aveva deciso di lasciare perdere, non valeva più la pena continuare.
Noi eravamo tutti lì, oltre che tristi, anche un po’ attoniti. Può sembrare bizzarro, ma non eravamo ancora pronti a non avere più bisogno della sua presenza, anche se sapevamo da tempo, che non poteva più aiutarci concretamente.
Mio padre era morto. E io avevo la angosciosa sensazione di avere perso una protezione vitale, mi mancava un paracadute, che con lui in vita mi sembrava di avere.
Anche se nessuno di noi figli fondava più la vita sull’aiuto dei genitori, essendo sempre stati ritenuti da Teresa molto bisognosi, in una parte accantonata di noi stessi rimaneva questo fragile frammento di identità, che adesso inevitabilmente riemergeva e andava in pezzi. Certo eravamo tutti adulti e indipendenti, ma emotivamente per me le cose stavano così, e capivo che a questo punto era necessario crescere definitivamente. Nonostante credessi di essere abbastanza preparato alla sua morte, con mia sorpresa tutto in quei giorni mi sembrava confuso e volatile. Era vero quello che avevo sentito dire, spesso a sproposito, che alcune cose puoi conoscerle chiaramente solo quando accadono.
Tante persone che conoscevano personalmente mio padre, e anche molti nostri amici che lo avevano conosciuto tramite noi e che io non vedevo da tempo, vennero a trovarci prima del funerale. Sapevo che, per non poche cose, mio padre era stato importante nella mia vita, ma ero sorpreso nel vedere che, nonostante il suo carattere non facile, il suo modo passionale di vivere lo aveva legato alle persone, e aveva fatto sì che tanti gli volessero bene. Filippo pensava di non aver bisogno di una corazza, forse era stato troppo protetto, e si buttava nella vita con entusiasmo, senza vedere gli ostacoli. Ma continuando a sbatterci contro, cominciò a sentirsi sempre più ferito, e a ritirarsi da quel mondo ingrato che lo ostacolava.
Teresa era comprensibilmente la più confusa. In quei giorni era giunta alla conclusione che il suo compito sacrificale verso mio padre fosse finito, quindi aveva delegato me e Mario a occuparci di tutto. Cominciava a prepararsi a invertire la situazione: adesso eravamo noi a doverci occupare di lei, ma sempre secondo le sue precise direttive e aspettative. Anch’io ormai ero sistemato, avevo una compagna e stavo per avere un figlio, quindi, secondo i suoi parametri, avevo una famiglia. Il suo sacrificio era finito ora toccava a noi.
Arianna era al quarto mese di gravidanza e aveva qualche piccolo problema, per cui avevamo deciso che era più sicuro che rimanesse a riposo. Ma era anche giusto così. Non mi riferisco alle regole del contratto di legame, ma al fatto che in quei giorni succedeva per me qualcosa di molto personale e intimo, che era preferibile vivessi da solo.
Mario era ormai diventato ciò che mio padre e Teresa speravano, e da qualche anno, era entrato in politica. A suo dire, gestiva comuni, province e regioni.
Patti continuava ad avere bisogno di aiuto ma, a forza di aiutarla, ormai aveva un patrimonio immobiliare non irrilevante, e una attività collaterale che gestiva con discreta abilità.
Camilla aveva la sua vita interessante e movimentata, girava per il mondo e da tempo, pur mantenendo la sua originalità, si era stabilizzata.
Il funerale si svolse il giorno dopo.
Patti, che manteneva il suo hobby di regista alternativa e andava sempre in giro con una telecamera in mano, riprese tutta la cerimonia. Il prete, un personaggio vecchio stampo, la guardava perplesso ma, essendo la situazione piuttosto anomala e non sapendo che quella donna che immortalava tutto era la figlia, non disse nulla. Se lo avesse saputo l’avrebbe presa per un orecchio, come gli scolari discoli, e l’avrebbe piazzata d’imperio al primo banco, dove c’eravamo noi, il resto della famiglia.
Finito il funerale, con Mario accompagnammo Filippo al cimitero del paese dove era nato, e dove c’era la cappella di famiglia. Lo lasciammo li da solo, perché, essendo sabato, la sepoltura sarebbe avvenuta il lunedì successivo.
Mario decollò con moglie e figli l’indomani per l’Indonesia, sentenziando che Filippo avrebbe voluto così. Patti partì per andare a firmare un mutuo per l’ennesima casa che doveva comprare. Teresa continuò i suoi giri di condoglianze, e ci comunicò che il lunedì non se la sentiva di partecipare alla sepoltura. A seppellire Filippo rimanemmo io e Camilla, che ci supportavamo a vicenda. Quel giorno percepii con certezza che ormai ero diventato grande: avevo quarantadue  anni ed era arrivato il momento.
In quei giorni confusi, ma intensi, mi tornarono in mente tanti ricordi di Filippo.
Mio padre da giovane era stato un buon tiratore e cacciatore, ed essendo di una famiglia ricca non aveva avuto particolari difficoltà a portare avanti quella passione. Una delle sue storie che preferivo era quella di quando, poco prima della guerra, con un gruppo di amici uniti dalla passione per la caccia, andava in nord Italia, durante le vacanze estive, in una specie di centro benessere del tempo. Lì mio padre curava la sua gastrite (sosteneva che il suo stomaco fosse ipoacido, secondo quanto gli avevano detto in ospedale, non so sulla base di quale inattendibile esame), e i ricorrenti reumatismi, che curò tutta la vita prendendo regolarmente la miracolosa Antireumina.
Ogni tanto, con gli amici fuggivano dal centro di cura e andavano alle gare di tiro, dove lui si presentava come un mediocre tiratore, mentre gli altri gli facevano da spalla. Solo nella parte finale della gara, che credo fosse a eliminazione diretta, dopo che i suoi amici avevano scommesso molti soldi su di lui, cominciava a tirare come sapeva fare e regolarmente vinceva. Così si portavano via anche un sacco di soldi. Fecero questo scherzetto 3 o 4 volte, cambiando regione ogni volta, perché i tiratori locali, la prima gliela facevano passare, ma la seconda sicuramente no.
Questa storia mi faceva ricordare quanto mi fossi sentito fiero di lui da bambino e, successivamente, mi aveva anche fatto capire che la vita non può essere solo sacrificio, e che, ogni tanto, bisogna trasgredire e divertirsi. Sembra banale ma, visti i penitenziali insegnamenti di Teresa, credo sia stato fondamentale.
Lui amava raccontare di quella volta che si fidanzò con una ragazza perché gli piaceva la sorella, che però era già fidanzata. Non riuscivo a vedere mio padre in questo ruolo da latin lover e non mi ricordo come finì questa storia. Sicuramente non arrivò da nessuna parte, ma la cosa che lo rendeva orgoglioso era di averlo fatto. Non lo sapeva, eppure mi stava insegnando una cosa importante. Tenere in vita la fantasia, anche senza realistiche possibilità, mi ha molto aiutato a superare i momenti difficili. Continuare a crederci è fondamentale, gli obiettivi possono essere cambiati.
Filippo era proprietario di alcuni agrumeti. Tutte le mansioni che i terreni richiedevano le svolgeva il suo fattore, che viveva in campagna badando anche ai suoi cani e portandoli a caccia per tenerli allenati.
Questo personaggio della mitologia della mia infanzia si chiamava Pollara. Non so granché della sua vita, ma quando noi bambini andavamo in campagna, lui era sempre lì con i suoi capelli bianchi, la faccia cotta dal sole, con la sua espressione di assoluta bontà e fedeltà. Ci offriva pane di casa e olive schiacciate con le sue mani forti deformate dall’artrite.
Quando Pollara era ormai molto anziano e malato, non potendo vivere più in campagna, venne a stare per qualche tempo nella nostra casa al mare, dove mio padre fece sistemare il garage per ospitarlo. Viveva li con il suo cane, una spinona mezza meticcia che si chiamava Rosa, con cui si capivano guardandosi negli occhi per qualche istante.
Appena arrivavamo, la domenica, io correvo subito da Pollara e gli chiedevo se potevo portare Rosa in giro con me. Pollara faceva un cenno con la testa a Rosa e lei, che sonnecchiava a terra accanto a lui, si alzava lentamente e mi seguiva seria. Rosa era quasi più grande di me, mi ricordo che io l’abbracciavo circondandole il collo con un solo braccio e non arrivavo neanche a chiudere il cerchio e toccarmi il fianco. Non so chi tra noi due guidasse la passeggiata, ma io mi sentivo grande e forte, mentre lei, con attenzione e pazienza cercava di capire e fare quello che le chiedevo.
Durante una di queste uscite, Rosa incontrò un gatto. Si scrutarono un istante, sia lei che il gatto avevano il pelo dritto sulla schiena. Poi, all’improvviso, partirono all’attacco e si azzuffarono. Il gatto ebbe la meglio e fece dei profondi graffi sul naso di Rosa. Piangendo, riportai Rosa sanguinante a Pollara e lui, con il suo tranquillizzante sorriso, la accarezzò e mi disse: “Osmio, veni c’à! Chi c’è da chianciri pì stà fissaria!” 1
Poi, tamponando il naso di Rosa con un fazzoletto le disse:  
“Rosa comu ti l’haiu a diri di lassari stari i iatti. Si nà smetti, quacchi ghionno ti piagghiano n’occhio, e poi viri comu cià finisci!” 2
Da quel giorno non portai più in giro Rosa: non potevo tollerare l’idea che, mentre era con me, un gatto l’attaccasse e le accecasse un occhio, senza che io riuscissi a difenderla, come mio Padre aveva fatto con Pollara, ormai anziano e malato.
Ma quello che più mi ricordava mio Padre, era una frase che aveva ripetuto centinaia di volte in famiglia, quando qualcosa non gli stava bene:  “Guardate che, se mi stufo, l’anno prossimo vendo tutto e me ne vado alle Ovaie (che sarebbero le Hawaii). E poi buonanotte ai suonatori!”.
Quando diceva questa frase non era veramente arrabbiato. Più che una minaccia era una battuta, che aveva solo il senso che nella sua mente si riservava l’illusione di poter andare, un giorno, in un luogo ideale.

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1  “Osmio, vieni qui! Cosa c’è da piangere per questa stupidaggine!”

2   “ Rosa come te lo devo dire di lasciare stare i gatti. Se non la smetti, qualche
       giorno ti graffiano in un occhio, e poi vedrai come la finisci.”

Forse, mentre la pronunciava, riusciva a estraniarsi dalle traversie della sua vita, e si vedeva alle Hawaii (ma credo che parlando delle Ovaie si riferisse alla Polinesia), circondato da fanciulle danzanti che gli mettevano al collo corone di fiori, mentre andava a pescare ogni mattina con la sua piroga.