lunedì 1 aprile 2013

Mia sorella Patti.......e la sua vitalità!!


Regolarmente, quando tornavo a casa da una vacanza come questa, mi ammalavo immediatamente. In genere mi veniva l’influenza.
Forse, dopo la vita disordinata che avevo fatto, l’influenza era l’unico modo per il mio fisico di costringermi al riposo. Oppure, cosa più probabile, il mio corpo si rifiutava di ricominciare la solita vita decadente.
Fattore concausale, quella volta, fu che mia sorella Patti stava ancora a casa mia.
“Ma non avevi detto che saresti tornata in Sicilia, e che questa città ti aveva annoiato?” chiesi a Patti aprendo la porta.
“Si” rispose lei aiutandomi con i bagagli, “ma ho conosciuto un attore tunisino, che si è trasferito qui con la moglie, una sceneggiatrice teatrale di origine indiana…. lui non è ancora riuscito a trovare lavoro, ma è un tipo fantastico. Fosse per lui, andremmo a  letto due ore sì e due no!”.
“Scusa, ma la moglie cosa ne pensa?”.
“Non lo so..... Ma con me è sempre molto carina!” rispose Patti perplessa.
“Forse” conclusi, “è contenta di non avere tra le palle quel parassita
 pseudo-intellettuale del marito, due ore si e due no!”.      
“Osmio sei il solito presuntuoso! Come è andata la vacanza?”.
“Bene..” dissi  “ma credo mi stia venendo l’influenza.”
Era chiaro che Patti si era piazzata a casa mia, e non intendeva modificare la sua collocazione.
Mi domandavo sempre se fosse preferibile accettare quanto accade adattandovisi, oppure spingere attivamente per cercare di cambiarlo.
In genere propendevo per la prima soluzione. Non muovendo niente avevo in ogni caso l’impressione di potermi considerare fortunato per come erano andate le cose. Tentare di cambiarle significava assumersi la responsabilità di un eventuale esito catastrofico e rammaricarsi della propria presunzione e arroganza.
Il  problema era che Patti non la sopportavo oltre, ma più manifestavo la mia intolleranza, più me la ritrovavo intorno, da sola, con l’attore tunisino, con la moglie sceneggiatrice indiana o con le sue strambe amiche. Poi c’era mia madre che al telefono continuava a ripetermi come un trapano:
“Osmio non essere cattivo,…..voi dovete volervi bene. Tu la devi capire (insieme al tunisino?) e appoggiare. Lei ti vuole molto bene (la trappola)… E’ una ragazza debole  e sfortunata , e ha tanto bisogno di aiuto!”.
Allora rimanevo paralizzato e mi rassegnavo ad accettare le cose come stavano, cercando di trovarne i possibili vantaggi. Però, continuavo a pensare che le avrei strozzate volentieri tutte e due. Tanto per il matricidio più sorellicidio, con qualche valida attenuante che spiegasse il cronico disagio mentale che mi avevano procurato (e a cui era impossibile sottrarsi) portandomi a un atipico “genocidio edipico”, forse me la sarei cavata con poco.
Nel frattempo Patti mi chiedeva in prestito la macchina e investiva, mi propinava il suo nuovo amico (un anoressico francese con i capelli lunghi e i piedi sporchi), e continuava a vivere le sue inondazioni emotive. Era assalita da tremende e oscure malattie, per le quali chiedeva continuamente ascolto e comprensione, mentre era incapace di ascoltare i miei problemi per più di venti secondi, perché diceva: “Scusami ma quello che mi stai dicendo mi fa venire l’angoscia..…non lo posso proprio sentire!”.
Se mi arrabbiavo e litigavo con lei, puntualmente squillava il telefono e tornavano alla carica: mia madre; Pina, una sua amica psicologa; la zia Rosa. E tutte mi ripetevano: “Tu la devi capire… lei ha bisogno del tuo aiuto!”.

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