Regolarmente, quando tornavo a casa da una
vacanza come questa, mi ammalavo immediatamente. In genere mi veniva
l’influenza.
Forse, dopo la vita disordinata che avevo
fatto, l’influenza era l’unico modo per il mio fisico di costringermi al
riposo. Oppure, cosa più probabile, il mio corpo si rifiutava di ricominciare
la solita vita decadente.
Fattore concausale, quella volta, fu che
mia sorella Patti stava ancora a casa mia.
“Ma non avevi detto che saresti tornata in
Sicilia, e che questa città ti aveva annoiato?” chiesi a Patti aprendo la
porta.
“Si” rispose lei aiutandomi con i bagagli, “ma ho conosciuto un attore
tunisino, che si è trasferito qui con la moglie, una sceneggiatrice teatrale di
origine indiana…. lui non è ancora riuscito a trovare lavoro, ma è un tipo
fantastico. Fosse per lui, andremmo a
letto due ore sì e due no!”.
“Scusa, ma la moglie cosa ne pensa?”.
“Non lo so..... Ma con me è sempre molto
carina!” rispose Patti perplessa.
“Forse” conclusi, “è contenta di non avere
tra le palle quel parassita
pseudo-intellettuale del marito, due ore si e
due no!”.
“Osmio sei il solito presuntuoso! Come è
andata la vacanza?”.
“Bene..” dissi “ma credo mi stia venendo l’influenza.”
Era chiaro che Patti si era
piazzata a casa mia, e non intendeva modificare la sua collocazione.
Mi domandavo sempre se fosse preferibile
accettare quanto accade adattandovisi, oppure spingere attivamente per cercare
di cambiarlo.
In genere propendevo per la prima
soluzione. Non muovendo niente avevo in ogni caso l’impressione di potermi
considerare fortunato per come erano andate le cose. Tentare di cambiarle
significava assumersi la responsabilità di un eventuale esito catastrofico e
rammaricarsi della propria presunzione e arroganza.
Il
problema era che Patti non la sopportavo oltre, ma più manifestavo la
mia intolleranza, più me la ritrovavo intorno, da sola, con l’attore tunisino,
con la moglie sceneggiatrice indiana o con le sue strambe amiche. Poi c’era mia
madre che al telefono continuava a ripetermi come un trapano:
“Osmio non essere cattivo,…..voi dovete volervi bene. Tu la devi capire
(insieme al tunisino?) e appoggiare. Lei ti vuole molto bene (la trappola)… E’
una ragazza debole e sfortunata , e ha
tanto bisogno di aiuto!”.
Allora rimanevo paralizzato e mi rassegnavo
ad accettare le cose come stavano, cercando di trovarne i possibili vantaggi.
Però, continuavo a pensare che le avrei strozzate volentieri tutte e due. Tanto
per il matricidio più sorellicidio, con qualche valida attenuante che spiegasse
il cronico disagio mentale che mi avevano procurato (e a cui era impossibile
sottrarsi) portandomi a un atipico “genocidio edipico”, forse me la sarei
cavata con poco.
Nel frattempo Patti mi chiedeva in prestito
la macchina e investiva, mi propinava il suo nuovo amico (un anoressico
francese con i capelli lunghi e i piedi sporchi), e continuava a vivere le sue
inondazioni emotive. Era assalita da tremende e oscure malattie, per le quali
chiedeva continuamente ascolto e comprensione, mentre era incapace di ascoltare
i miei problemi per più di venti secondi, perché diceva: “Scusami ma quello che
mi stai dicendo mi fa venire l’angoscia..…non lo posso proprio sentire!”.
Se mi arrabbiavo e litigavo con lei,
puntualmente squillava il telefono e tornavano alla carica: mia madre; Pina,
una sua amica psicologa; la zia Rosa. E tutte mi ripetevano: “Tu la devi
capire… lei ha bisogno del tuo aiuto!”.
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